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5 Aprile 2024il caffè
di Massimo Gramellini
Della compravendita di voti che coinvolgerebbe il Pd pugliese, in particolare l’assessora regionale Maurodinoia e il marito Cataldo, stupisce l’esiguità del tariffario: al mercato elettorale una preferenza vale appena cinquanta euro, poco più di cinque pandori griffati. Intendiamoci, il vero motivo di indignazione è il voto di scambio, di cui già ci si indignava tantissimo alla fine dell’Ottocento e ancora di più alla fine del Novecento, ma siamo uomini di mondo e sappiamo che il fenomeno è contrastabile soltanto in due modi: con il sorteggio dei candidati come nell’Atene di Pericle, o con una modifica del Dna che renda l’umanità incorruttibile. Due eventi statisticamente improbabili, soprattutto il primo, perché bisognerebbe sincerarsi che poi nessuno corrompa gli esecutori del sorteggio.
Nella vicenda pugliese non è dunque, e purtroppo, la truffa in sé a rappresentare una sorpresa, ma lo scarso valore anche economico ormai attribuito al voto e di conseguenza alla democrazia. La storia d’Italia è attraversata dalle gesta di candidati che agli elettori elargivano soldi e raccomandazioni: financo una scarpa, avendo cura di consegnare la seconda soltanto dopo il voto. Ma, che si trattasse di pagamenti in valuta o in natura, la cessione di un diritto fondamentale aveva un suo costo. Invece adesso il voto deve valere talmente poco nella considerazione generale che non lo si adegua nemmeno all’inflazione.