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21 Giugno 2023I volti del disagio giovanile
21 Giugno 2023
di Fabrizio Roncone
I l giorno dopo, letto meglio e scarnificato, riascoltato sui social, del discorso tenuto da Elly Schlein alla direzione nazionale del Pd restano, sostanzialmente, un paio di punti. La generica chiamata a «un’estate militante» e la stravagante evocazione di una colonna sonora mixata, le frasi poetiche e i ritornelli di alcuni cantautori utilizzati come collante politico per una relazione che avrebbe dovuto invece illuminare finalmente un sentiero, indicare una strategia, dare concretezza a un’agenda finora piena di slogan e di ritardi. Non siamo nemmeno nel Pantheon di Elly: siamo nella Sanremo di Elly. Il che piacerà (forse) ai gggiovani. Ma provoca un certo turbamento non solo tra i dirigenti già critici, se non dichiaratamente ostili (da Stefano Bonaccini a Lorenzo Guerini, passando per Gianni Cuperlo e finendo a Beppe Sala e Michele Emiliano), ma anche tra quelli che, ufficialmente, ancora la sostengono (restano muti, però dovreste vedere con che musi lunghi).
Capi e capetti soffiano preoccupati. Ricordano gli interventi in direzione dei precedenti segretari. Enrico Letta citava Papa Francesco e Jacques Delors, Luigi Pirandello e Alessandro Manzoni (poi, vabbé: il ministro Francesco Lollobrigida avrebbe scoperto che Manzoni era un eroico «patriota»), e solo una volta Letta evocò il gruppo musicale degli Scorpions (più che altro, si disse, per fare un po’ il fico). E Matteo Renzi? Passava da Blaise Pascal («Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non comprende», su misura per lui, Renzi) a John Steinbeck, da Joseph Conrad al Riccardo III, con lo strepitoso monologo del peggior cattivo dell’universo shakespeariano.
Dario Franceschini andava da Aldo Moro a Victor Hugo, Nicola Zingaretti da Gramsci a Greta Thunberg. Le celebri metafore di Pier Luigi Bersani erano così efficaci che furono studiate da Umberto Eco. E — dicono con amarezza numerosi dem — lasciamo stare il fondatore del partito, Walter Veltroni, che ci faceva stare tra Enrico Berlinguer e don Milani, tra Vittorio Foa e T.S. Eliot.
Elly, invece, si affida a Daniele Silvestri (tra l’altro, bravissimo nel suo mestiere). Pd diviso? «Concentriamoci sulle cose che abbiamo in comune, che sono 4.850…». A Niccolò Fabi, sognando il viaggio che dovrebbe portarla dalle primarie a Palazzo Chigi: «Tra la partenza e il traguardo, c’è tutto il resto». Infine, la Schlein s’interroga e si risponde (citando Diodato): «Se ai nostri elettori chiedessero di dedicarci una canzone, una di queste probabilmente sarebbe Fai rumore».
Non indistinto, magari. Non pieno di frasi a effetto («Non ci hanno visto arrivare»), vuote («Mettetevi comodi») o simili ad autentiche «supercazzole» da conte Mascetti/Ugo Tognazzi (cit. Amici miei), come quella sul termovalorizzatore di Roma, diventata virale nel web: «Ereditiamo scelte già fatte, e non è su questo che si misura la nostra strategia. Ma non è un mistero che, in generale, ci piace portare il Pd verso il futuro, e questo vuol dire costruire cicli positivi di circolarità che escano dal modello lineare».
Il più cinico tra i cacicchi dem, pensando alle prossime Europee, canticchia sottovoce Lucio Dalla: «L’anno che sta arrivando/ tra un anno passerà/ io mi sto preparando/ è questa la novità…».