Auna settimana dall’entrata in carica del governo di Giorgia Meloni, una sola cosa si può dire con certezza: niente di ciò che lei o i suoi ministri hanno detto o annunciato di fare era inatteso. Non lo era la svolta sulle misure anti-pandemiche del ministero della Salute, né la retorica del «merito» introdotta fin nel nome del nuovo ministero dell’Istruzione; non lo era la durezza delle posizioni anti Ong del ministro Piantedosi, né la stretta sui rave party.

COERENTI

Avevamo visto i rappresentanti della destra nelle piazze “no mask” e “no green pass”, mentre gridavano alla «dittatura sanitaria». Li avevamo sentiti invocare il «blocco navale» contro i migranti, in difesa della «patria», e politiche law and order contro le «devianze». L’enfasi sulla «libertà» di emergere in base al «merito», in opposizione allo sforzo per ridurre le disuguaglianze, era una parola d’ordine del «programma conservatore» di Meloni, con la sua saldatura tra tradizionalismo, liberismo e individualismo proprietario.

Il nuovo governo muove i suoi primi passi in piena coerenza con un’identità costruita e difesa negli anni. Solo un gigantesco abbaglio, dovuto forse al volto femminile e rassicurante della sua leader, può aver portato a credere che la maggioranza più a destra di sempre non avrebbe mostrato, appena insediata, la sua anima da ultrà, specialmente sui temi caratteristici delle “guerre culturali” di questo tempo: genere, migrazioni, valori tradizionali, interpretazioni della libertà (dove l’ultima versione sembra essere la libertà di girare con le tasche piene di contante).

L’OPPOSIZIONE IMPOTENTE

Se però questa offensiva era ben prevedibile, colpisce l’apparente impreparazione delle forze che siedono tra i banchi dell’opposizione, l’impressione di debolezza di gran parte dei loro discorsi.

Le prime fiammate di discussione seguite alle dichiarazioni dei rappresentanti del governo e della maggioranza mostrano non solo il potere incontrastato di agenda setting da parte di Meloni e dei suoi, ma anche l’automatismo di reazioni prevedibili e inefficaci. Inefficaci perché prive di risonanza con il sentire diffuso, a differenza del linguaggio della destra che – non da oggi – rivela una capacità assai superiore di colonizzazione del discorso pubblico.

La retorica della «minorità culturale» di questa parte politica ha indotto troppi a sottostimare l’offensiva ideologica che la maggioranza avrebbe sferrato. Ma la verità è un’altra. Ed è che la destra d’opposizione e di governo ha costruito da tempo i frame dominanti (altro che minoritari) entro cui le questioni più divisive sono inquadrate, dall’«invasione» dei migranti, alla «sicurezza», al «pericolo gender».

La sinistra si inganna se crede di poter contare a lungo sulla superiorità che le deriva dalla presenza nei luoghi della cultura “alta”. È tempo che prenda sul serio la sfida dell’egemonia culturale, e si decida a misurarsi.