I primi a plaudire per l’abolizione del reato di abuso d’ufficio saranno i sindaci, di destra e sinistra. Fra i tanti, l’avevano criticato il primo cittadino Pd di Pesaro Matteo Ricci e quello di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, sospeso due anni per fatti che la Cassazione ha poi stabilito «non sussistere». Pur non chiedendo la cancellazione del reato, aveva invocato modifiche anche il sindaco di Bari e presidente dell’Associazione dei Comuni Antonio Decaro. «Nel 93 per cento dei casi le inchieste non arrivano nemmeno al giudizio. Ogni giorno un sindaco deve decidere se firmare un atto o non firmarlo, rischiando l’omissione in atti d’ufficio. Questo rallenta le procedure mentre ci viene chiesto di accelerare sui progetti Pnrr. Chiediamo solo certezze». La decisione di ieri della commissione Giustizia del Senato non lascia incertezze: l’articolo 323 del codice penale non c’è più. Ha votato compatto a favore il centrodestra con il sostegno di Italia Viva, ha votato contro l’opposizione, anche se Enrico Costa, a nome di Azione, era favorevole.
Dal Senato esce modificato il reato di traffico di influenze, un’altra fattispecie da anni oggetto di polemiche perché ritenuto impalpabile. Un emendamento proposto dal senatore leghista Manfredi Potenti cambia una sola parola: «Sfruttando» intenzionalmente relazioni esistenti con un pubblico ufficiale» diventa «utilizzando». Una modifica sufficiente – dice la maggioranza – per limitare la discrezionalità dei giudici. Per ora invece non cambia una terza e contestatissima legge, quella che porta il nome del ministro della Giustizia del governo Monti – l’avvocato Paola Severino – e che fra le altre prevede la decadenza dei pubblici ufficiali dopo la sola condanna di primo grado. È il caso citato poco fa di Falcomatà, tornato l’anno scorso sulla poltrona di sindaco. Un ordine del giorno proposto dell’ex ministro leghista Erika Stefani impegna poi il governo a «sopprimere l’istituto della sospensione dalle cariche in conseguenza di condanna non definitiva, nonché a disporre una revisione» della legge Severino «in tema di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche conseguenti a sentenze definitive». L’ordine del giorno è però solo un atto politico con cui il Parlamento sollecita l’esecutivo: per il momento quindi la legge resta così. Oggi la discussione in Senato ripartirà dalle modifiche vere e dall’articolo due che modifica le norme sulle trascrizioni delle intercettazioni.
Carlo Nordio, ministro della Giustizia ed ex magistrato di rito garantista, intanto applaude il sì all’articolo uno: «L’abrogazione di questo reato evanescente (quello di abuso d’ufficio, ndr) contribuirà ad un’accelerazione delle procedure e avrà un impatto favorevole sull’economia». Come fa intendere Nordio e come lo stesso Decaro aveva ammesso, una delle ragioni che hanno spinto il governo a premere sulla riforma è la necessità di evitare intoppi ai cantieri del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il governo ha strappato il sì dell’Europa a 102 miliardi di euro, ma fin qui ne ha spesi solo 28: la scadenza improrogabile per spendere i 191 miliardi a disposizione dell’Italia è agosto 2026. L’opposizione sostiene che il reato dovrà essere reintrodotto perché nel frattempo proprio l’Europa sta approvando una direttiva in materia. L’ex procuratore di Palermo e ora senatore Cinque Stelle Roberto Scarpinato definisce «inquietante discutere di una legge che vuole diminuire in modi occulti i poteri di indagine della magistratura sui reati dei colletti bianchi». Per inciso, i Cinque Stelle avevano proposto anche emendamenti per regolamentare l’attività delle lobby e i conflitti di interesse – un tema di stretta attualità dopo i casi Verdini e Renzi – ma la maggioranza li ha bocciati. Dice Alfredo Bazoli a nome del Partito democratico: «Avevamo proposto di migliorare l’abuso d’ufficio senza eliminarlo». Quello del governo «sarà un boomerang perché ogni volta che arriverà una denuncia le procure indagheranno per reati più gravi». Il paradosso vuole che Giulia Bongiorno, nota penalista, responsabile giustizia della Lega e presidente della Commissione che ieri ha votato l’abolizione del reato, sia d’accordo con il rischio paventato da Bazoli. Per questo ha strappato alla maggioranza l’impegno ad un tavolo per riformare l’intera fattispecie dei reati contro la pubblica amministrazione. Lei stessa avrebbe preferito una riforma del reato, ma ha prevalso la linea radicale di Nordio.