Decreto Cutro, un altro sciacallaggio che uccide
6 Maggio 2023Visco: “Solo la crescita può rilanciare i salari l’energia è scesa, ora le aziende calino i prezzi”
6 Maggio 2023
La vicenda di Elly Schlein va compresa a partire dal giorno in cui piombò da perfetta sconosciuta sulla scena politica. Si tratta della notte del 17 aprile 2013, in cui l’allora segretario Pier Luigi Bersani perse l’appoggio di una parte consistente dei suoi gruppi parlamentari per l’elezione di Franco Marini a presidente della Repubblica. Un movimento autodenominatosi Occupy Pd cominciò a invadere le sedi fisiche e virtuali del partito per scongiurare quella scelta, frutto – a suo dire – della vecchia politica, del compromesso tra correnti a favore di un democristiano, considerato esponente moderato dell’establishment, a discapito di un intellettuale radicale e libero dalle costrizioni partitiche, fautore dei diritti civili e delle rivendicazioni giovanili libertarie e di sinistra, contro la precarietà e per la laicità dello Stato. Infatti quella fu anche la notte in cui cominciarono a sentirsi i cori a tre sillabe, scanditi nei circoli del Pd e nelle piazze telematiche e fisiche del Paese: “Ro-do-tà, Ro-do-tà”.
A capeggiare quel movimento spontaneo, nato in una notte, c’era appunto la giovane Elly Schlein, attivista del Pd di Bologna, vicina a Pippo Civati. Il suo movimento si propagò come un’onda che dai social network, passando per le sedi del Pd di varie grandi città, arrivò come uno tsunami nella sala del cinema Capranica di Roma, dove erano riuniti i gruppi parlamentari del partito per approvare la candidatura di Marini. I segretari di federazione del Pd dell’Emilia-Romagna si dissociarono dalla scelta di Bersani per Marini, e la delegazione parlamentare di quella stessa regione, a sua volta, ritirò l’appoggio al segretario. Per Marini prima, e Bersani poi, fu l’inizio della fine. A ciò va aggiunto l’ulteriore dramma dei centouno contro Prodi. Bersani fu azzoppato nel giro di pochi giorni. Non solo non divenne presidente del Consiglio, ma la sua idea di Pd, da ricostruire come vero e proprio partito socialdemocratico – magari fuori tempo massimo, ma sicuramente diverso dalla poltiglia dem senza capo né coda –, naufragò assieme alle sue dimissioni da segretario. Il quadro politico italiano si spostò a destra, con Matteo Renzi in agguato, a cui oggettivamente (e forse anche volutamente) l’operazione Occupy Pd aveva dato una mano per il suo trionfale ritorno sulla scena dopo le primarie perse, appunto, contro Bersani.
Va ricordato che, in quegli stessi giorni che segnarono la fine politica di Bersani e di una certa idea di Pd, anche il partito di Nichi Vendola si trovò ad appoggiare il movimento di Schlein contro Marini e Bersani (e, quindi, oggettivamente a favore di Renzi). Anche Vendola e i suoi deputati e militanti stavano nelle piazze a scandire i cori pro-Rodotà e, al pari dei giovani di Occupy Pd, non vedevano di buon occhio la nascita di un partito di sinistra tradizionale, strutturato territorialmente e di stampo socialdemocratico. Vendola e i giovani occupanti condividevano, in fondo, la stessa idea di partito di sinistra come partito radicale di massa, fuori dalla tradizione organizzativa e ideologica del movimento operaio.
Nella tradizione socialista e comunista, la politica si fa filosofia e viceversa. Essa è infatti il campo nel quale i lavoratori uniti e organizzati potranno porre la questione filosofica per eccellenza, quella del rapporto tra soggetto e oggetto. Le organizzazioni del movimento operaio forniranno ai lavoratori la capacità di recuperare senso alla propria attività per potere trasformare la realtà senza sentirsene schiacciati e alienati, affinché le cose, i prodotti, le idee e gli avvenimenti non si rovescino più addosso a lavoratori passivi, ma possano essere messi a distanza, elaborati simbolicamente e quindi trasformati. A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, abbiamo assistito al prevalere delle retoriche sulla fine delle ideologie e sui bisogni post-materialistici, sospinti nel cuore della società post-industriale dai ceti della cosiddetta mobilitazione cognitiva. Assieme a queste retoriche, la preminenza del mezzo televisivo e dei nuovi media, nel confronto politico, ha contribuito alla dissoluzione dei partiti di massa, a cui si sono sostituiti partiti liquidi a base carismatica. Il risultato di queste trasformazioni ha visto, da un lato, la polarizzazione dello scontro politico su questioni di tipo morale e personalistico; le retoriche della mobilitazione cognitiva e della democrazia deliberativa hanno prodotto, dall’altro, movimenti civici senza cultura politica e visione del mondo, dediti a singoli problemi e con una forte carica antipolitica, sfociata spesso in veri e propri sommovimenti antisistema (a base comunque padronale al pari dei partiti liquidi), come nel caso del Movimento 5 Stelle.
Il capitalismo dell’ipermodernità consumista è diventato egemonico nella vita di milioni di persone, imponendosi sulle grandi narrazioni che compenetravano filosofia e vita grazie alla lotta politica e al conflitto sociale. Ha messo in campo, infatti, la produzione inesauribile di oggetti ed esperienze in grado di suscitare emozioni e godimenti intensi, a loro volta resi possibili da soluzioni tecniche di grande efficacia comunicativa. La politica ha cominciato a entrare in crisi come campo privilegiato della mediazione e con essa il partito, soggetto principe proprio della mediazione, intesa non tanto e non solo come compromesso, ma soprattutto come sforzo di elaborazione simbolica volto alla compenetrazione tra soggetto e oggetto. Infatti, se gli esseri umani non sentono più la distanza dalle cose, se l’alienazione è finalmente risolta dal consumo e dal divertimento, perché affidare alla politica e ai partiti la costruzione della propria autonomia culturale e della propria libertà?
L’analisi che abbiamo voluto brevemente richiamare ci è utile per dire che, negli ultimi due decenni, è cresciuto in Italia un personale politico che non ha seguito il proprio cursus honorum all’interno dei partiti, ma ha colto, di volta in volta, le varie occasioni che si presentavano per entrare sulla scena tramite un’elezione politica o amministrativa, o grazie alle primarie. La vicenda di Elly Schlein è da questo punto di vista emblematica. Coglie l’opportunità delle elezioni regionali del 2020 per rientrare nel gioco capeggiando una lista a sinistra del Pd, diventando vicepresidente della Regione Emilia-Romagna e presentandosi come punto di riferimento della sinistra extra-Pd. Approfitta poi delle elezioni anticipate del 2022 per dimettersi da vicepresidente ed essere eletta alla Camera con il Pd, e tentare la scalata al partito stesso, una volta apertasi la prospettiva delle primarie per la scelta del nuovo segretario. Tutto questo avviene senza rendere conto a nessuno, dal momento che non esistono più veri e propri organismi dirigenti da cui dimettersi, e gli elettori a cui si era chiesto un voto per costruire la sinistra in Regione non vengono minimamente considerati.
La storia di Elly Schlein è paradigmatica di tante altre vicende politiche di giovani ambiziosi – capaci di usare efficacemente le nuove opportunità della comunicazione – che, a vari livelli, si muovono da un’occasione all’altra senza avere maturato un’esperienza duratura di partito, e senza avere quindi acquisito una vera e propria cultura politica radicata nella mediazione come progetto di lungo periodo a favore di referenti sociali precisi, riconosciuti e conosciuti, all’interno di un partito e dell’associazionismo legato a esso o al sindacato. Non è un caso che abbia portato con sé – o ne abbia avuto semplicemente l’appoggio – vari giovani cresciuti con Nichi Vendola, il quale per primo aveva fatto dell’occasione da cogliere il centro della sua politica. Nel 2010, infatti, fonda “Sinistra ecologia e libertà”, al congresso di Firenze, con il seguente slogan: “conta la partita e non il partito”. E la partita era la scalata ostile al Pd tramite le primarie di coalizione. Il partito di Vendola nasce per cogliere l’occasione delle future primarie di coalizione del centrosinistra, lanciare il proprio segretario a Palazzo Chigi, e conquistare allo stesso tempo anche il Pd. Oggi tanti giovani dirigenti dell’ex Sel gioiscono dell’ascesa di Schlein: il sogno della scalata al Pd si è avverato, seppure con tredici anni di ritardo.
Non deve allora sorprendere che la nuova segretaria – come ha opportunamente rilevato Michele Mezza in un recente articolo sul nostro giornale (vedi qui) – non si sia ancora espressa sui dossier più importanti della politica nazionale e internazionale. Nella retorica contro le correnti o i capibastone sa esprimersi con buona capacità comunicativa, nelle questioni politiche che richiedono lo sforzo della mediazione e del concetto, nonché un’organizzazione strutturata in grado di produrre forza, intelligenze e conoscenze dai vari segmenti territoriali e produttivi del Paese, non può che essere in difficoltà.