Vi raccontiamo una storia: un ragazzo, una mattina, si trova su una spiaggia calabrese. Intravede in lontananza due ragazze poco più che ventenni. Si avvicina loro, fa qualche battuta, accarezza il cagnolino che portavano al guinzaglio, chiede di scattare qualche fotografia. Le ragazze rifiutano, forse si spaventano e si allontanano. Lui insiste, le rincorre, dice di essere un carabiniere fuori servizio. Quelle si infilano in una macchina e fanno per scappare quando il militare chiede i documenti di identità costringendole ad attendere l’arrivo di una pattuglia che lui nel frattempo aveva chiamato. Così le ragazze, terrorizzate, sono costrette a restare. Tornate a casa, però non ci stanno. E presentano una denuncia: «Il carabiniere, davanti al nostro rifiuto di fare amicizia con lui, ci ha spaventato abusando del suo potere», scrivono. Risultato: quattro mesi di condanna per abuso di ufficio.
Ecco, oggi questa storia – accaduta qualche anno fa e terminata con una sentenza di Cassazione – non esisterebbe. O meglio, il carabiniere farebbe comunque il cretino, ma non ci sarebbe alcun giudice in grado di condannarlo. Perché quel reato, non esiste più. Lo ha cancellato il Parlamento che – spinto dalla crociata degli amministratori pubblici, stufi di finire oggetto di indagini che molto spesso finiscono nel nulla – ha cancellato con un colpo di spugna il reato di abuso di ufficio,ignorando gli allarmi lanciati dai procuratori italiani, compresi dai magistrati antimafia, primo tra tutti il procuratore nazionale Giovanni Melillo.
Gli addetti ai lavori avevano spiegato chiaramente come l’abolizione del reato – e non una sua trasformazione – avrebbe lasciato scoperti comportamenti delicatissimi. E assolutamente odiosi. Per rendersi conto di cosa stiamo parlando basta leggere le ultime sentenze di Cassazione sul tema che dimostrano come l’abuso di ufficio non è soltanto il reato del sindaco che affida una sala comunale a un’organizzazione benefica piuttosto che a un’altra, come ama ripetere l’Anci. Ma significa tante cose: un carabiniere molestatore, appunto. Ma molto di più.
Lo ha raccontato bene in una tesi di dottorato una giovane giurista, Cecilia Pagella che ha analizzato le ultime 500 sentenze di Cassazione sull’abuso di ufficio. E ha smontato appunto il paradigma secondo cui il reato di abuso di ufficio colpiscasoprattutto i pubblici amministratori, e in particolare i sindaci. «La maggior parte sono dipendenti o consulenti esterni di aziende pubbliche, ma anche direttori di carcere, presidi, professori universitari,medici». Sul tipo di reato «la situazione più ricorrente è quella del pubblico amministratore che sfrutta la sua posizione per conferire ad altri vantaggi illeciti» scrive. Per esempio: l’affidamento di un appalto, l’assegnazione di un incarico, il via libera a costruire un’opera urbanistica. Sono situazioni dove oggi in alcune volte si potrebbe pensare di contestare il peculato ma nella maggior parte dei casi porterebbero a nulla. Risultato: il sindaco e la giunta che annullarono gli avvisi di pagamento dell’Ici ad alcuni loro elettori a pochi giorni dall’elezione, anni fa sono stati condannati. E ora lo sarebbero molto difficilmente.
Così come sarebbero non punibili tutte le prevaricazioni, quelle circostanze in cui «un pubblico ufficiale utilizza la propria posizione percagionare un danno gratuito a un altro privato». In sostanza gli abusi di potere. C’è il caso del carabiniere respinto ma anche quello del sindaco che revoca l’incarico a un dirigente per il solo motivo che quello si era candidato contro di lui alla carica di primo cittadino. Oppure, ancora, la storia di un pubblico ministero che chiede il rinvio a giudizio contro l’ex della sua compagna nei cui confronti, in precedenza, aveva deciso di archiviare il procedimento. Tutti casi che in commissione giustizia sono stati evidenziati da uno dei più stimati giuristi italiani, il magistrato ed ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Draghi, Roberto Garofoli, che aveva sottolineato come con l’abolizione del reato «il cittadino non ha più alcuna tutela rispetto alle angherie del pubblico ufficiale». Garofoli aveva portato in aula anche i numeri: per abuso di ufficio ci sono state 3.600 le condanne dal 1997 a oggi, con un brusco rallentamento dal 2020 in poi, quando l’ultima riforma che si era occupata dell’abuso di ufficio aveva già svuotato, riperimetrandolo, il cuore del reato. E poi: è vero che l’85 per cento di procedimenti iscritti è poi archiviato, ma la media nazionale di tutte le altre fattispecie è del 62 per cento. Si era chiesto Garofoli: «Si dovrebbe concludere perciò solo per l’abolizione di centinaia di altri reati?». A questo governo meglio non dare idee.