Scuola fragile
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12 Settembre 2023
di Federico Fubini
Le previsioni degli organismi ufficiali non andrebbero mai lette come un racconto sul futuro, tantomeno un racconto fedele. Gli economisti della Commissione europea sono esseri umani fallibili. I modelli che usano per immaginare la realtà tra qualche mese o tra un anno sono strumenti limitati e rozzi, a confronto con la realtà stessa. Di rado una stima di crescita o d’inflazione si dimostra corretta. Quelle previsioni rappresentano soprattutto il riflesso del giudizio diffuso in un dato momento su un Paese e, di conseguenza, della sua direzione di marcia. Nulla di più.
L’analisi pubblicata ieri dalla Commissione presenta tuttavia una particolarità. In Italia la crescita non solo rallenta rispetto all’anno scorso e anche a quanto si immaginasse per il 2023 sei mesi fa: questo accade a quasi tutti i Paesi e all’Europa in genere; soprattutto – caso quasi unico – ora Bruxelles prevede che l’Italia continuerà a rallentare anche nel 2024. L’unico altro caso simile è la Spagna, ma su ritmi di dinamismo molto superiori ai nostri. In Italia invece il prodotto interno lordo sembra crescere appena dello 0,9% quest’anno e dello 0,8% il prossimo, quando l’area euro invece dovrebbe accelerare (inclusa la Germania, che quest’anno è in recessione).
Probabilmente, non è una previsione del tutto accurata. I tecnici di Bruxelles per esempio sembrano sottovalutare la forza della Spagna (dove il Pil atteso nel 2023 è stato rivisto nettamente al rialzo, rispetto a marzo) e sopravvalutano Germania e Olanda (invece oggetto di stime riviste drasticamente in peggio). Tutto insomma va preso con un grano di sale. Però la direzione di marcia indicata per l’Italia fa pensare. E pone questioni per l’imminente Legge di bilancio, a maggior ragione se le previsioni di Bruxelles sulla debolezza italiana si combinano con quelle del governo stesso nell’ultimo Documento di economia e finanza. Lì il Tesoro mette già in conto un rallenta-mento costante dell’economia nei prossimi anni, da una crescita dell’1,5% nel 2024 all’1,1% nel 2026. Ma se siamo già su ritmi da zero-virgola quest’anno e poi l’anno prossimo, allora il rischio che si presenta per il Paese è quello del ritorno a una lunga stagnazione per tutta la legislatura.
L’Italia se lo può permettere? Al netto delle conseguenze sociali, o nell’opinione pubblica, è appena il caso di ricordare cosa accadrebbe al debito pubblico. Già solo in uno scenario di crescita migliore dell’attuale, scenderebbe solo lentamente; con un ritorno alla stagnazione, contenerlo diventa difficile. Per questo servirebbero riforme di concorrenza, giustizia e pubblica amministrazione volte a riattivare l’economia: esattamente la parte del Pnrr che sembra rimossa e dimenticata.