diLuca SerranòUn’altra condanna definitiva, la terza dopo quelle subite per il dissesto del Credito cooperativo fiorentino (per cui si trova in detenzione domiciliare) e per il crac di una ditta edile.
È stata confermata la sentenza di appello per la bancarotta della Società Toscana di Edizioni ( che editava il Giornale della Toscana), che aveva portato a una condanna a cinque anni e sei mesi di reclusione per Denis Verdini. Per l’ex senatore, 72 anni, è stato chiesto al tribunale di sorveglianza di disporre la prosecuzione della detenzione domiciliare. I giudici, infine, hanno confermato anche le altre condanne; cinque anni per l’ex deputato di Forza Italia Massimo Parisi ( per cui si aprono dunque le porte del carcere), tre anni ciascuno per Girolamo Strozzi Majorca, Enrico Biagiotti e Pierluigi Picerno.
Le accuse riguardavano la bancarotta della società editoriale che nel 1998 ebbe tra i suoi fondatori e investitori gli stessi Verdini, Parisi e il principe Strozzi, che nel tempo sono stati a vario titolo amministratori con ruoli diversi.
In particolare Verdini, considerato dominus del gruppo editoriale, insieme a Parisi avrebbe incassato nel 2005 dalla Ste 1,3 milioni con una operazione di cessione di quote di un’altra società, la Nuova Toscana Editrice: operazione ritenuta dall’accusa «priva di valide ragioni economiche » , sia perché all’epoca la Ste già versava in gravi difficoltà, sia perché la Nuova Toscana Editrice aveva un capitale sociale di soli 62 mila euro, era in perdita e Verdini e Parisi detenevano solo il 20% ciascuno del capitale.
Verdini, scrivevano nelle motivazioni della sentenza i giudici di appello, « non solo non ha assunto iniziative» per arginare il crac, « ma non ha neppure chiesto tempestivamente il fallimento aggravandone in tal modo il dissesto».
Messi in risalto anche i 3 milioni di euro versati per sistemare l’esposizione della Ste verso il Credito cooperativo Fiorentino. « La ragione economica che ha spinto Verdini a corrispondere al Bccf quella somma era connessa al ruolo di fideiussore — si legge ancora nelle motivazioni — tanto che poi si è insinuato nel fallimento della Ste. Ma non ha compiuto, secondo i giudici d’appello, una reintegrazione del patrimonio della società».
La condanna definitiva per il crac dell’istituto di credito era arrivata nel 2020, ed era costata all’ex senatore un breve periodo di detenzione a Rebibbia, da dove era uscito a causa di un focolaio di Covid scoppiato nel carcere. Nelle motivazioni della sentenza, la Cassazione aveva messo in risalto ancora una volte la disinvoltura nella gestione: « Sotto il profilo della gestione dell’istituto, l’attività della Banca d’Italia evidenziava sin dal 2006 le gravi anomalie nella governance aziendale, accentrata nella persona di Denis Verdini, incontrastato dominus del consiglio di amministrazione di un istituto creditizio strumentalizzato a fini personali, in assenza di un organo di controllo sindacale realmente autonomo e critico rispetto alle scelte gestorie». Il politico toscano è stato condannato in via definitiva anche in un terzo procedimento, per un’altra bancarotta di un’impresa edile in rapporti sempre con il Credito cooperativo fiorentino. Tre anni e dieci mesi la pena stabilita in appello e confermata dalla Cassazione.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, l’ex leader di Ala avrebbe pianificato un’operazione che portò il piccolo istituto di credito a rientrare in possesso di parte dei soldi prestati a una delle due imprese, ma al tempo stesso a portare alla bancarotta la ditta.