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L’intervista
di Adriana Logroscino
Casini: il suo è stato un atto di amore verso la Repubblica italiana
Roma
Pier Ferdinando Casini, da politico di lungo corso con una inevitabile consuetudine con Napolitano, e da cattolico, attribuisce all’omaggio del Papa al feretro del presidente molta importanza. E sottolinea che il significato deve essere colto nelle sue sfumature.
Senatore Casini, quello del Papa è stato un gesto inatteso anche per lei?
«Certo, non era mai successo. E che per la prima volta nella storia delle nostre istituzioni il Papa sia entrato dalla porta del Senato per rendere omaggio a un ex capo dello Stato, mi ha emozionato. Ritengo poi che questo gesto abbia un triplice significato».
Il primo?
«Il primo è che la visita del Papa, liquidando ogni ricostruzione di comodo sul passato, rende omaggio alla persona Giorgio Napolitano. Un non credente che ha sempre rispettato la Chiesa e il mondo cattolico italiano, che ha intessuto relazioni importanti con Giovanni Paolo II, con Benedetto XVI e con papa Bergoglio ma che avrà un funerale laico. È la dimostrazione di come il Papa interpreti il suo amore verso l’umanità: senza frontiere. Una risposta anche a chi ha avuto da eccepire rispetto alla visita e alla preghiera di un Papa sulle spoglie di un non credente».
C’è anche un significato più politico?
«Eccome. Francesco varcando la soglia di Palazzo Madama ha compiuto un atto di amore verso la Repubblica italiana, certificando quel rapporto speciale tra Santa Chiesa e Italia che il Papa rinnova con questo gesto».
Il terzo significato che individua in questa visita?
Napolitano da senatore
a vita
mi incalzò in ogni seduta della commis-sione Esteri
con l’entu-
siasmo di un giovane
parlamen-tare
«È per me importantissimo: è il riconoscimento al valore della politica in generale. Un valore riconosciuto da un’autorità come il Santo Padre in un momento in cui anche in altre parti del mondo sembra prevalere l’idea che la politica tutta vada liquidata con il marchio dell’infamia».
Al di là, quindi, dell’omaggio all’uomo?
«Sì. La vita di Giorgio Napolitano è stata la politica. Si fa fatica a non vedere nel gesto del Papa anche un riconoscimento a quella esistenza consacrata alla cosa pubblica. Francesco non ha mai fatto sconti agli uomini politici. Eppure, anche nel Giubileo che si sta preparando a Roma, alcune giornate saranno dedicate a loro. Dunque come non vedere che rendendo omaggio a Napolitano si riconosce il valore della buona politica, il suo essere necessaria, fondamentale, per l’umanità? Una visione in cui l’appartenenza a destra, centro o sinistra, le categorizzazioni alle quali siamo tanto affezionati, non c’entra per niente».
Da presidente, Napolitano ha spesso manifestato considerazione nei confronti dei credenti, della cultura e della tradizione cattolica.
«Certo. La storia d’Italia del resto è piena di laici che hanno profondamente capito e rispettato il senso dell’identità cristiana del nostro Paese. Ed è lì che c’è un terreno di reciproco riconoscimento. In molte circostanze Napolitano faceva intendere che, pur non avendo il dono della fede, aveva ben presente di che storia il nostro Paese fosse figlio, quale eredità raccogliesse. Così il Papa, attraverso l’omaggio a Napolitano, credo riconosca alla Repubblica il rapporto speciale che essa ha con la cristianità».
Ha condiviso molti anni di vita nelle istituzioni con Napolitano: se dovesse ricordare un solo episodio, quale sarebbe?
«Napolitano era un europeista e atlantista convinto. Quando, dopo le dimissioni da presidente della Repubblica, tornò a sedere a Palazzo Madama come senatore a vita, mi chiese un appuntamento per iscriversi alla commissione Esteri che io allora presiedevo. E non passò settimana senza che mi incalzasse, informandosi sull’ordine del giorno e dandomi consigli su iniziative da intraprendere. Con l’umiltà e l’entusiasmo di un giovane parlamentare, puntuale, a volte anche puntiglioso. Come alcuni grandi democristiani, da Fanfani a Colombo, aveva il culto del Parlamento».