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Il vaccino italiano sviluppato dall’istituto «Spallanzani» di Roma e dall’azienda Reithera di Castelromano funzionava. La notizia arriva quando l’emergenza è finita da un pezzo e le dosi non servono più. A pubblicarla nel silenzio generale è stata la rivista Cell Reports Medicine: secondo uno studio apparso il 20 giugno senza alcun clamore firmato dai ricercatori Reithera e dai medici che hanno seguito la sperimentazione in 24 ospedali italiani, la risposta immunitaria generata dal vaccino italiano è «con buona approssimazione ai livelli riportati dai vaccini Jcovden (quello Johnson & Johnson) e Vaxzevria (prodotto da AstraZeneca)» di cui l’Unione Europea ha acquistato milioni di dosi.
L’ANNUNCIO RIACCENDE l’attenzione intorno a una vicenda mai chiarita e che ora si incrocia con il balletto delle nomine del governo Meloni. Quello del vaccino italiano, infatti, è uno dei tanti misteri che hanno accompagnato l’ascesa – o meglio la rinascita – di Francesco Vaia, nuovissimo direttore generale della prevenzione al ministero della salute su scelta del ministro Orazio Schillaci, dopo un passato burrascoso contraddistinto da tangenti e inchieste giudiziarie nelle Asl di mezza Italia.
La vicenda del vaccino Reithera-Spallanzani ha inizio nella seconda metà del 2020. Le prime fasi della sperimentazione sono convincenti: il vaccino appare sicuro e all’altezza dei concorrenti statunitensi e inglesi. Perciò all’inizio del 2021, quando i costosi e brevettati vaccini a mRna arrivano in Europa col contagocce, in tanti credono che l’Italia possa e debba dotarsi di una piattaforma vaccinale a partecipazione pubblica per svincolarsi dalla dipendenza dalle multinazionali farmaceutiche, in vista di future crisi sanitarie. Ci aveva creduto per prima la Regione Lazio, che su Reithera e Spallanzani aveva puntato subito 8 milioni di euro. Ci credono il ministro della salute Roberto Speranza e il capo di Invitalia Domenico Arcuri, che stanziano quasi 50 milioni per proseguire i test. La “fase 2” della sperimentazione viene autorizzata dall’Aifa a febbraio 2021. Sarà il ricercatore Simone Lanini dello «Spallanzani», è scritto nelle carte, a coordinare i 25 centri che recluteranno i volontari per valutare l’efficacia del vaccino italiano. Toccherà allo Spallanzani anche la parte più avanzata della sperimentazione: quella sulle preziose cellule T che garantiscono la difesa immunitaria di lungo periodo.
DIETRO LE QUINTE, tuttavia, qualcosa si muove. A frenare è proprio Francesco Vaia, che nei primi mesi del 2021 ha preso le redini dell’istituto di via Portuense e non firma il via libera ai test. Strano, per uno che in gennaio prometteva in tv «100 milioni di dosi di vaccino Reithera per settembre». Invece, mentre a marzo negli ospedali di tutta Italia si reclutano i 900 volontari interessati al vaccino, allo Spallanzani si ferma tutto. Lanini rimane il “principal investigator” dello studio ma a Roma nessun volontario viene arruolato. Gli altri centri completano il reclutamento e il 9 aprile 2021 il test inizia. Alla chetichella, le analisi sulle cellule T vengono spostate dallo «Spallanzani» al Centro Ricerche Cliniche di Verona.
Dall’ospedale romano nessuno dà spiegazioni per il passo indietro. Anche la Regione Lazio, senza dirlo pubblicamente, ritira il suo finanziamento. La sperimentazione del vaccino, tra mille difficoltà, prosegue almeno fino a quando non veniamo inondati dai vaccini Pfizer e Moderna, mezza Italia corre a vaccinarsi da Figliuolo e al vaccino nazionale non pensa più nessuno.
Nel disinteresse generale, i ricercatori Reithera raccolgono dati sui vaccinati. Anche se per ottenere l’autorizzazione al commercio ne servirebbero altri su più larga scala, i risultati sono positivi. Come rivela ora Cell Reports Medicine, la strada era quella giusta. Ma senza l’investimento pubblico e l’appoggio dello «Spallanzani», è impossibile andare più in là di un esperimento riuscito.
VA DETTO, a onor del vero, che le buone ragioni scientifiche per abbandonare il progetto Reithera come ha fatto lo Spallanzani non mancano. A marzo è scoppiato il caso delle trombosi legate ai vaccini AstraZeneca e Johnson&Johnson: come quello Reithera sono vaccini «adenovirali», che sfruttano un virus per portare il vaccino nell’organismo.
Tanti capiscono che, dopo le reazioni avverse, milioni di dosi rischiano di rimanere sugli scaffali. Anche l’arrivo delle varianti rema contro i vaccini di questo tipo. Sono dubbi che sorgono pure allo «Spallanzani», dove le competenze non mancano.
Eppure, sicuramente non è questo il motivo del dietro-front.
Mentre si sfilano dal vaccino adenovirale italiano, infatti, Vaia e i suoi uomini puntano tutto su un altro vaccino dello stesso tipo, sviluppato a Mosca e denominato «Sputnik V». Occhio alle date: ventiquattr’ore prima del 9 aprile 2021, giorno in cui prende il via la sperimentazione Reithera senza lo Spallanzani, la Regione Lazio e l’istituto stilano un accordo di collaborazione con l’istituto Gamaleya di Mosca e il fondo sovrano russo Rfid per sperimentare in Italia il vaccino Sputnik. Preceduto, spiega la Regione, da «contatti spontanei tra i due istituti che, nel corso del tempo, hanno dato vita ad incontri periodici dai quali è emerso l’interesse comune a sviluppare un percorso formale di collaborazione scientifica».
Secondo il quotidiano La Stampa, negli incontri un funzionario russo offre 250 mila euro a un dirigente dello Spallanzani, che li rifiuta. Fonti del ministero degli Esteri riferiscono al manifesto che la collaborazione non è stata concordata con la Farnesina.
LA FIRMA UFFICIALE arriva il 13 aprile. Sul memorandum d’intesa oltre al nome di Vaia c’è quello dell’assessore regionale alla salute Alessio D’Amato, allora fedelissimo di Nicola Zingaretti e oggi alla corte di Calenda. Nelle settimane precedenti, D’Amato ha chiesto all’Europa di autorizzare il vaccino Sputnik e si era detto pronto a produrlo nel Lazio.
Sulla stessa linea Matteo Salvini, quello che «meglio mezzo Putin di due Mattarella». Anche Meloni partecipava al coro: «Se lo Sputnik V è un vaccino sicuro ed efficace non c’è guerra commerciale che tenga: va valutato e messo in commercio subito» le sue parole.
La collaborazione Roma-Mosca va avanti nonostante l’Europa non ottenga dati affidabili dal Gamaleya per approvare lo Sputnik. L’intesa non si ferma neppure quando su Kiev cadono le bombe e le sanzioni interrompono i rapporti con la Russia: una ricerca congiunta Spallanzani-Gamaleya datata maggio 2022 (con la firma di Vaia) tre mesi dopo l’inizio dell’invasione sta lì a dimostrarlo e a mettere in imbarazzo l’Italia.
SE NON È L’INFLUENZA russa ad azzoppare il vaccino italiano, una spiegazione alternativa c’è ed è altrettanto problematica. A maggio 2021, un mese dopo la firma del memorandum con Mosca, la Corte dei Conti blocca a sorpresa l’investimento di Invitalia su Reithera, fermando il progetto industriale per un vizio di forma.
E nessuno al governo pensa a salvare la piattaforma vaccinale italiana. Il governo Draghi preferisce ripartire da zero con un investimento ben più ingente (340 milioni di euro con fondi Pnrr) al «biotecnopolo» di Siena. Senza spiegazioni.
Vaia avrebbe subodorato in anticipo la manovra e non lo avrebbe riferito agli altri centri coinvolti nei test sul vaccino? Inverosimile, ma possibile. In ogni caso, i ricercatori dello Spallanzani avrebbero avuto tutto l’interesse a portare avanti una sperimentazione su un vaccino sperimentale, assai prestigiosa al punto di vista scientifico al di là delle possibili ricadute commerciali.
Allora perché fermarsi?
A OLTRE DUE ANNI di distanza nessuno ha mai dato una spiegazione del perché il principale centro di ricerca nazionale sulle malattie infettive nel giro di pochi giorni abbia deciso di affossare il vaccino italiano e scommettere sullo Sputnik V. È una storia trasversale che mescola interessi scientifici, industriali e geopolitici. E rappresenta uno scheletro nell’armadio della destra. Di cui solo Vaia, forse, ha le chiavi.