A due giorni di distanza dal primo lockdown italiano, l’Oms l’11 marzo del 2020 proclamava lo stato pandemico. Dopo 764 milioni di casi e 6,9 milioni morti il suo comitato di emergenza si appresta oggi a proclamare la fine della pandemia. Anche se per l’ufficialità bisognerà attendere il 20 maggio, quando l’indicazione verrà con ogni probabilità fatta propria dall’assemblea generale degli Stati membri. Un’odissea durata più di tre anni, anche se in Italia, così come nel mondo, il Covid graffia ancora, facendo da noi ancora 600 morti al mese, come ha voluto ieri ricordare il presidente dell’Ordine dei medici, Filippo Anelli. Certo, c’è la variante Arturo che in India ha generato una nuova ondata. Ma parliamo dell’ennesima figlia di Omicron, la versione più edulcorata del virus che oramai domina un po’ ovunque da un anno e mezzo, senza mettere più sotto stress i servizi sanitari dei singoli Paesi. Nemmeno quelli dei Paesi più poveri e quindi meno vaccinati, che avendo però una popolazione più giovane contano comunque un basso numero di ricoveri e decessi, che è poi quel che più conta per l’Oms, che con la fine dello stato pandemico avrà meno poteri per imporre ai singoli Stati azioni di contrasto alla diffusione del virus. Una moral suasion esercitata fino ad ora più che altro verso i Paesi a guida «negazionista» o nei confronti dei Paesi ricchi con il braccino corto nell’invio di vaccini a quelli poveri.
«Come tutti ci auguriamo che ci sia la dichiarazione di fine pandemia. Noi siamo molto tranquilli e sereni», ha dichiarato il ministro della Salute, Orazio Schillaci, preannunciando così l’uscita dalla fase emergenziale. «Una decisione giusta», commenta lapidario Walter Ricciardi, che nell’Oms ha in passato rappresentato l’Italia, dove ha sempre militato nel partito dei rigoristi. «La situazione sta migliorando ed è giusto quindi che l’Oms vada in questa direzione. Ma la cosa importante – aggiunge – è che non si pensi che sia tutto finito, perché il virus continua a circolare e a colpire le persone fragili, che vanno protette con le mascherine e le vaccinazioni». Peccato che queste ultime non le faccia più nessuno (ieri le dosi somministrare sono state 382) mentre le mascherine da Nord a Sud restano tirate su in quasi tutti gli ospedali e gli studi di medici di famiglia e pediatri, per autonoma decisione di responsabili regionali, direttori sanitari degli ospedali e camici bianchi. Anche se Schillaci ci tiene a puntualizzare di averle «di fatto limitate ai reparti più critici» e che «questo è un provvedimento più per le persone fragili e per tutte le malattie respiratorie», perché «il Covid è una cosa che speriamo di esserci lasciati alle spalle».
Che non debba ormai spaventarci più di tanto lo conferma anche un’analisi pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature, che lo definisce un «virus quattro stagioni». «Nel senso che non ha una stagionalità come l’influenza ma avanza a piccole onde di contagi che non determinano però grossi problemi», assicura il virologo dell’Università Statale di Milano, Fabrizio Pregliasco.
Se la pandemia da Sars-Cov-2 è ormai alle spalle, nell’era della globalizzazione il pericolo di nuove epidemie è però tutt’altro che teorico. Per questo l’Ecdc, il centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie, ha messo a punto un documento di analisi e proposte per non farci più trovare impreparati in futuro. Prima di tutto, secondo gli esperti europei serve promuovere il reclutamento di nuovo personale sanitario qualificato senza smettere di investire in quello già presente, aumentandone la preparazione, anche con adeguata formazione per poter gestire le procedure di emergenza quando si è sotto stress. Quello che ha colpito non pochi operatori durante la pandemia. Poi «occorre una legislazione adeguata sulle malattie trasmissibili, che tenga conto dei profili etici, dei diritti umani, degli effetti intersettoriali e che definisca gli ambiti di responsabilità». Senza dimenticare di «rafforzare la comunicazione con il pubblico e i media», perché «una cattiva gestione delle richieste di questi ultimi e il mancato controllo della disinformazione causano ulteriori pressioni sul personale sanitario».
Raccomandazioni precedute dall’amara constatazione che «il ritorno dei budget di sanità pubblica ai livelli pre pandemici avrà un effetto negativo o pregiudicherà la possibilità di mantenere in organico il personale assunto durante la pandemia». Che è la situazione nella quale rischiamo di ritrovarci in Italia.