Franco Giubilei
Se c’è un profeta che in patria riesce a smentire l’antico proverbio quello è Vasco Rossi, capace di quadruplicare le date nello stadio della sua Bologna, dove vive da tanto tempo, primi concerti di un tour che si annuncia già come la solita certezza dell’estate musicale italiana. Ma non è solo questione di consenso musicale, perché il Vasco che suona a Bologna è dichiaratamente politico, anche se alla sua maniera: «Sono un radicale», dice dopo aver azzerato le distinzioni fra destra e sinistra. La macchina del live show comincia con Dillo alla luna, una ballata di trent’anni fa, ma porta con sé anche un invito politico ai quarantamila del Dall’Ara esaurito: «A guardare in faccia la realtà, oggi più che mai che la narrazione è così edulcorata da chi dice che va tutto bene», dice il rocker nel backstage, poco prima di salire sul palco.
In grande forma, il pizzo orgogliosamente bianco, suona per quasi tre ore indugiando sulle vecchie canzoni per la gioia del pubblico più tifoso d’Italia, e mica si tira indietro davanti al senso vero della sua musica: «Io sono un provocatore, per mantenere sveglie le coscienze davanti a una narrazione generale molto favoleggiante». Di favola in favola, il tema diventa subito quell’accostamento dei nomi dei politici italiani – in concerto ne ha per tutti, da Meloni a Salvini a Berlusconi, dai Cinque Stelle ai comunisti – alle «favole» cantate sulle note di T’immagini: «Meloni: favole, favole favole, Salvini: favole favole favole», e così via a coprire quasi tutto l’arco costituzionale. «Sento molte parole, dei bei discorsi, ma non vedo decisioni per soluzioni reali», aggiunge. Ma allora Vasco chi salverebbe? «Non so chi salverei, sono quasi tutti così, salvo Pannella, che però non c’è più, salvo i radicali. Io sono un radicale».
E tanto per chiarire fino in fondo il concetto, dal momento che ci si continua a baloccare fra destra e sinistra, taglia la testa al toro: «Della distinzione fra destra e sinistra non me ne frega un c…o, e i politici raccontano un sacco di stronzate, li boccio tutti, non fanno più gli interessi di questo Paese. L’Italia poi non conta niente sul piano internazionale, io questo racconto di grandeur non lo vedo. Cara grazia che siamo in Europa».
Il concerto procede, una macchina che una volta messa in moto macina canzoni che sono entrate nel nostro immaginario con la forza poetica di chi ha cominciato scrivendo di quello che gli capitava a Zocca, cogliendo la noia, le tenerezze e gli amori della provincia profonda. Ogni volta è un momento magico che appartiene alle grandi ballate intimiste del Comandante, che avendo però un animo rock’n’roll è capace di far impennare lo show con Gli spari sopra o C’è chi dice no, per poi sprofondare di nuovo nella dura realtà di Siamo soli.
E non c’è verso che Vasco si stanchi di queste tournée, che gli danno emozioni che solo uno stadio pieno di gente devota possono concedere: «La musica è gioia, energia, voglia di vivere, un’emozione che coinvolge», e cui non intende rinunciare, perché ci sono centinaia di migliaia di persone ad aspettare che il rito si ripeta, ogni estate che il dio del rock manda in terra nel nostro Paese. Qualcuno ha fatto il conto: in vita sua ha fatto 800 concerti mettendo insieme 13 milioni di spettatori, eppure i suoi spettacoli potrebbero riservare altre sorprese in futuro, dal momento che può attingere fra circa duecento pezzi esistenziali dei suoi.
Le immagini proiettate sul palco ricordano l’alluvione in Romagna: «Portiamo gioia a questa terra», dice il Vate di Zocca mentre in video compare un cuore in spiaggia e la scritta «Tin bota», tieni botta. Qualcuno, nel backstage, prova a chiedergli se lo vedremo mai in un tour teatrale, a raccontare in forma più intimista quel che gli agita il cuore: «Prima o poi lo farò, l’idea mi piace molto, ma finché c’è tanta gente…». Come dire che fino a quando infilerà undici date negli stadi come quest’anno continuerà a cantare davanti a grandi platee, perché quell’adrenalina lì si libera solo a certe condizioni, quando la temperatura raggiunge i livelli di fusione fra artista e pubblico.
Intanto si gode l’ennesimo sold out e per il 2024 già rivede San Siro: «Dieci concerti a San Siro? Ho intenzione di prenotarlo per un mese l’anno prossimo. Ogni artista ha il pubblico che si merita, però le misure contano», dove si capisce che scherza, ma fino a un certo punto. Di nuovi dischi non se ne parla – «I dischi ormai non si fanno più, ma un pezzo forse sì» -. Il singolo potrebbe uscire in autunno, certezza non c’è. A Sanremo, dove scandalizzò con Vado al massimo e Vita spericolata ormai quarant’anni fa, invece non lo rivedremo di sicuro: «Ci sono già stato, ho già riportato il microfono. Tornarci in gara? Non ho più l’età».
E il concerto va, fra ovazioni e pubblico cantante, una liturgia che ha le sue regole precise, perché se c’è Vasco sul palco, qualsiasi sia la scaletta il concerto deve chiudersi immancabilmente con Albachiara, cascasse l’universo. E così è anche a Bologna, dove «respiri piano per non far rumore» arriva al termine di tre pezzi memorabili: Sally, Siamo solo noi e Vita spericolata. La messa è finita, i fedeli possono tornare a casa, a «guardare in faccia la realtà» a riflettori spenti.