il retroscena
Ilario Lombardo
Come ammettere di non averne parlato senza dire di non averne parlato. Durante il bilaterale con il presidente egiziano Al Sisi avete affrontato il caso dell’omicidio di Giulio Regeni? Giorgia Meloni era preparata al fatto che, al Cairo, questa sarebbe stata la prima domanda. E risponde: «Ne parliamo sostanzialmente sempre di questa questione. Come sapete c’è un processo in Italia. Siamo andati avanti a fare quello che dobbiamo fare e il lavoro che stiamo facendo non cambia la nostra posizione sulla materia. È importante per noi e per me che quel procedimento giudiziario che c’è vada avanti. Continueremo a tentare di ottenere qualcosa di più sul fronte della verità e della giustizia».
Andare avanti, dunque. Otto anni dopo l’uccisione del ricercatore italiano, per cui sono accusati quattro uomini dei servizi segreti egiziani. Oggi riprenderanno le udienze del processo in Italia, con gli imputati lontani, ben protetti in patria, anche per volontà di Al Sisi. Alla vigilia, Meloni evita, parlando con il raìs egiziano, di tornare di nuovo su una vicenda che ha provocato uno strappo diplomatico senza precedenti tra Il Cairo e Roma. Dal 2016 tutti i presidenti del Consiglio italiani che si sono seduti nella stessa stanza con Al Sisi, chi più rapidamente chi meno, hanno chiesto di Regeni, hanno tenuto l’attenzione alta su un caso irrisolto, sul quale il governo egiziano ha favorito i depistaggi e coperto gli 007 che, secondo le accuse, avrebbero rapito, torturato per nove giorni Regeni, lasciando il suo cadavere come un sacco di spazzatura al lato di una strada. Magari tutti i premier lo hanno fatto per una pura formalità, senza crederci troppo, ma hanno chiesto ad Al Sisi la verità. Compresa Meloni, durante il vertice sul clima a Sharm el-Sheikh, alla fine del 2022, quando era a Palazzo Chigi solo da poche settimane.
Questa volta, invece, il silenzio cala su Regeni. Un silenzio forse tombale. Sotto il grande lampadario del palazzo Al Orouba, uno dei castelli presidenziali del regime, Meloni risponde su Giulio senza mai pronunciarne né il nome né il cognome. Poco prima le telecamere l’avevano ripresa mentre con Al Sisi scambiava sorrisi e battute in attesa della firma degli accordi di partnership. La ricucitura con l’autocrate è definitiva. Plastica nella disposizione, al centro della sala, attorno al presidente egiziano dei sei leader europei venuti a omaggiarlo. Accanto a lui, Ursula Von der Leyen, presidente uscente della Commissione Ue in quota popolari e ricandidata per il bis. Gli applausi forti, sentiti, che la segretaria particolare di Meloni, Patrizia Scurti, seduta dietro i ministri e i diplomatici, fa rimbombare, sanciscono un’alleanza di comodo a cui nessuno dei presenti può rinunciare. C’è un’agenda da portare avanti e la premier italiana non vuole lasciarla più in sospeso, in attesa che la giustizia provi a superare il muro di gomma egiziano. È questo che ammette la premier dal Cairo. C’è una strategia precisa che pone il regime dell’ex generale in cima agli interessi italiani, perché il governo considera l’Egitto un Paese sull’orlo di un precipizio economico, circondato dalle guerre e pieno zeppo di migranti e rifugiati che in caso di default si dirigerebbero verso l’Italia e l’Europa. Un Paese troppo importante nell’area del Mediterraneo, ora ancora di più perché al centro della mediazione per un cessate il fuoco a Gaza, e cruciale per i traffici compromessi dai ribelli Houthi nel Mar Rosso. Meloni è in buona compagnia. Con lei a perseguire questa strategia, come a Tunisi la scorsa estate, c’è Von der Leyen. E poi altri quattro leader. Soltanto la presidente della Commissione europea fa un rapido accenno all’importanza dei diritti politici e umani.
L’Ue consegnerà 7, 4 miliardi di euro all’Egitto senza vincolare gli aiuti al rispetto di quei diritti. Solo un blando controllo, che viene di fatto reso superfluo dal finale della dichiarazione congiunta: «Abbiamo riconosciuto gli sforzi fatti dall’Egitto sui diritti umani». A dicembre Al Sisi si è posto da solo sulla testa la corona del terzo mandato da presidente. Altri sei anni, con quasi il 90% dei consensi. Prima di questa visita c’è stata una risoluzione di condanna votata dall’Europarlamento, e un appello di Amnesty International a non restare indifferenti di fronte ai trattamenti disumani dei migranti ammassati nelle prigioni egiziane. Meloni però si concentra sull’opposizione italiana.
E scatena un botta e risposta con Elly Schlein, che aveva detto di trovare «gravissimo» che Von der Leyen stesse per volare in Egitto per promettere risorse «a un regime che ha calpestato i diritti fondamentali» in cambio dello stop alle partenze. La reazione della premier: «Schlein dice che è una vergogna che mezza Europa venga in Egitto per cercare di fermare l’immigrazione irregolare? Capisco che per loro sia vergognoso, ma se avessi voluto mettere in piedi il programma del Pd mi sarei candidata con il Pd». In realtà Meloni dimentica la condizione posta dall’Europa sui diritti umani violati, che era parte del discorso di Schlein, e il fatto che da leader di Fratelli d’Italia al centro del programma aveva posto il blocco navale contro gli sbarchi nel Mediterraneo.
A Schlein interessa restare su Regeni e replica a sua volta: «Ci lusinga, perché noi non prendiamo in giro le persone e non faremmo accordi con un regime che da anni sta coprendo gli assassini di Regeni. Da Al Sisi dovrebbero pretendere i recapiti dei quattro agenti dei servizi egiziani imputati». Grazie a questo stratagemma la polizia giudiziaria non ha potuto notificare le indagini, consentendo ai difensori dei quattro ufficiali di chiedere che il processo non venga celebrato. Richiesta già respinta. Una decisione che permetterà, a partire dall’udienza di oggi, che si possa entrare nel vivo del dibattimento e decidere chi ammettere della lunga lista dei testi. Tra i nomi c’è anche Al Sisi, ma è impossibile che i genitori di Giulio, come sempre presenti in aula, lo vedranno sfilare davanti ai giudici.