Cirino Pomicino
Paolo Cirino Pomicino, la sua ex allieva politica Daniela Santanchè è nei guai. Le aziende di cui è proprietaria hanno combinato pasticci gravi con azionisti, dipendenti e fornitori.
«Anche se non siamo più amici da molti anni, mi dispiace sinceramente per la situazione in cui si trova».
Dovrebbe dimettersi da ministra?
«Ogni epoca ha i suoi criteri. Nella Prima Repubblica ci si dimetteva anche per responsabilità oggettive e non personali. Quando fuggì Herbert Kappler il ministro della Difesa Vito Lattanzio si dimise, sebbene non ci fosse certo lui di guardia all’ospedale del Celio».
Qui le responsabilità sembrano decisamente personali.
«Io stento a credere a quello che ho visto e sentito, anche se testimoniato e documentato. Se posso dare un ultimo consiglio non richiesto, e sempre con spirito amichevole, Daniela si dimetta mettendo così nelle sue mani la propria dignità e quella del suo partito».
Lei è stato per due anni nel cda di una società coinvolta, la Ki group.
«Me lo propose Canio Mazzaro, all’epoca mio grande amico ed ex compagno di Santanchè. Feci per due anni il vicepresidente. Il mio compenso era, se non ricordo male, di 3 mila euro al mese».
Non vide nulla di anomalo in quei due anni?
«No, c’era ancora il vecchio ad Poggio e l’azienda era in salute».
Come nacque il suo rapporto con Santanchè?
«La conobbi a fine anni Ottanta, quando ero ancora ministro. Mi rivolsi all’allora suo marito Paolo Santanchè, noto chirurgo, per un problema di mia figlia. Iniziammo a frequentarci, soprattutto d’estate a Porto Cervo, in Sardegna».
Santanchè aveva già interesse per la politica?
«Si dichiarava fascista, raccontava di aver militato nelle organizzazioni universitarie».
Non le faceva impressione che si dicesse fascista?
«No di certo, io avevo un fratello comunista e un altro fascista, per come si può esserlo a 18 anni, e pensavo, sbagliando, che avesse passione sincera per la politica.
Invece lei è una specialista del marketing».
E l’amicizia con Pomicino che mercato le apriva?
«La frequentazione del potere. Le feci conoscere anche Andreotti, a Capri».
Però dopo Tangentopoli lei il
potere l’aveva perso.
«Sì ma restavo molto noto e a Daniela era sufficiente. Ero una specie di suo soprammobile: mi invitava a tutte le feste e ci andavo con piacere».
Nel 1999 Santanchè si presentò alle provinciali di Milano e fu eletta.
«Io la consigliavo, la aiutavo con i discorsi. Gliene scrissi uno anche per un congresso di Alleanza nazionale, contro le quote rosa».
Ma perché lo faceva? Devo chiederglielo: aveva una relazione con Santanchè?
«Assolutamente no. Erano gli anni in cui ero impegnato solo con i tribunalie mi mancava la politica. Ero felice di pensare, di scrivere e di darle una mano».
Tanto che le presentò anche Silvio Berlusconi.
«Andammo in barca a villa Certosa.
Dissi a Silvio che Daniela aveva molta passione e avrebbe potuto essere utile alla sua causa».
Poi nel 2001 fu eletta alla Camera nelle liste di An.
«La Russa era riuscito a metterla seconda in lista, non il massimo, ma la prima degli eletti si dimise per fare altro e Daniela entrò in Parlamento».
E lei le consigliò di andare in commissione Bilancio.
«Era la mia materia, spesso le preparavo gli interventi sulla legge finanziaria. Daniela invece ingaggiò un professore che le dava lezioni di storia nazionale mentre lei faceva manicure o pedicure. Una scena alla Sorrentino. Io le dissi che era inutile: o leggi o non serve a niente”.
Santanchè passò ai libri?
«Non credo, né si mise a studiare la finanza pubblica. E il prof fu licenziato dopo poco».
Quali erano le ambizioni di Santanchè? Diventare ministra?
«L’episodio che meglio le racconta non c’entra con la politica. Negli anni Novanta organizzò un concorso di cucina e mi invitò a far parte della giuria, di cui lei era presidente. Mi trovai ad assaggiare un piatto e dissi: che schifezza. Santanchè mi diede un cazzotto dietro la schiena: stai zitto che è il mio piatto. Sa chi vinse? Lei.
Fece consegnare il premio al compagno Mazzaro, il quale dopo la cerimonia mi disse: la tua amica non conosce la vergogna. Mi pare la frase che meglio la descrive».
Alle Politiche del 2008 Santanchè attaccò Berlusconi. Disse che vedeva le donne solo in posizione orizzontale e aggiunse: “Tanto io non gliela do”.
«I latini dicevano: excusatio non petita, accusatio manifesta».
A quel punto non le scriveva più i discorsi.
«Da tantissimo tempo. Forse aveva trovato altri ghost writer. Ma la cosa che mi ferì di più fu che prima del mio trapianto di cuore a Pavia lei disse a Mazzaro: spero che il tuo amico non si svegli domattina».
Parla per risentimento, dunque?
«Fai bene e scorda, fai male e pensaci, dice una canzone napoletana, e io così ho fatto».
Santanchè si dimetterà?
«Non lo so. Il mio consiglio l’ho dato, ma Daniela è capace con grande convinzione di dire cose in cui non crede o di difendere l’indifendibile».