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Aldo Tani
siena Un corto circuito burocratico e istituzionale mina il futuro della più importante accademia jazz d’Italia: tra dimissioni di massa, conti in rosso per quasi un milione, calo degli iscritti e problemi di governance la Siena Jazz University vive uno dei momenti peggiori della sua storia. E senza un cambio di rotta, che ad oggi pare un miraggio, sul lungo periodo rischia addirittura la sua sopravvivenza. Una crisi profonda, iniziata con il tracollo di Mps e proseguita lungo il decennio.
Eppure la rotta da seguire sarebbe chiara: Siena Jazz deve e vuole trasformarsi da Accademia in Fondazione. Un passaggio «essenziale per la sopravvivenza» l’ha definito l’assessore comunale Enrico Tucci, prima di ricordare che ciò è «possibile solo una volta che sia stato conseguito l’azzeramento del debito». Procedura che consentirebbe all’istituzione di essere riconosciuta come ente del terzo settore e afferire ai fondi ministeriali e regionali per la formazione, nonché operare in regime fiscale agevolato. Mentre ora è quasi tutto nelle mani del Comune, con Regione e Fondazione Mps in ruoli minori.
Qui però si torna al punto di partenza, perché il quadro finanziario del Siena Jazz è disastrato. Alla fine del 2022 il passivo ammontava a oltre 1,2 milioni, con perdite che sfiorano i 700 mila euro. Fardello cresciuto progressivamente nell’ultimo decennio, considerato che nel 2013 il rosso era di 806 mila euro e le perdite 389 mila. A tutto ciò c’è da aggiungere un calo di iscritti: 109 tre anni fa, 69 oggi.
A inizio anno una nuova governance, guidata dal presidente Vito Di Cioccio e dal direttore amministrativo Mauro Cianti (coadiuvati dal direttore artistico Antonio Artese), aveva provato a invertire la rotta. Esperienza durata appena nove mesi, perché due settimane fa i dirigenti si sono dimessi in blocco. Un’uscita di scena scaturita dai contrasti registrati via via con docenti, studenti e sindacati sulla linea da adottare per rimettere in carreggiata il Siena Jazz, mentre i numeri stavano promuovendo il loro lavoro. Il debito era stato ridotto di oltre 300 mila euro, assestandosi a 914 mila, mentre la semestrale aveva messo in evidenza utili per 219 mila rispetto ai 42 mila della volta precedente.
«Dalla comunità c’è stata una viva opposizione verso quanto avevamo pianificato. C’era il rischio che si compromettesse l’attività dell’Accademia. E io, che ho operato di fatto per beneficenza, non volevo creare problemi», aveva spiegato Di Cioccio. Che i problemi non si limitassero ai conti lo aveva sottolineato qualche giorno fa anche Tucci: «Il vecchio cda non aveva operato male per la riduzione del debito. Forse però è mancata empatia e capacità di sviluppare relazioni umana».
Quella che nelle intenzioni di Palazzo Pubblico dovrebbe arrivare da Massimo Mazzini. Il nuovo presidente nominato solo pochi giorni fa e già al centro di un caso normativo, tanto a costringere Palazzo Pubblico a «blindarlo». L’ex docente universitario non fa una piega e va avanti: «Sono sorpreso da questa situazione, ma il mio unico pensiero è risolvere i problemi dell’Accademia». Quasi 60 anni di illustre storia meritano ben altro.
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