La fiction del governo Meloni continua. E produce l’ennesimo cambio di nome a quel poco che andrà a sostituire il Reddito di cittadinanza. Non più «Strumento di attivazione al lavoro» ma «Supporto per la formazione e il lavoro», a testimonianza che le possibilità di trovare un’occupazione in questo sistema sono ridotte al lumicino. Nella sostanza nulla cambia: dal primo settembre chi è ritenuto «occupabile in situazione di povertà» non avrà più alcun sostegno stabile, solo una piccola indennità al massimo di 350 euro, a condizione di riuscire nell’impresa di frequenterà un corso di formazione dopo aver sottoscritto il «patto di servizio personalizzato».

A quattro giorni dal consiglio dei ministri del primo maggio, il decreto Lavoro non è ancora in Gazzetta ufficiale. Da ieri è alla Ragioneria generale dello stato per la cosiddetta “bollinatura” prima di essere inviato al Quirinale.

Una «bollinatura» che sarà semplice per quanto riguarda la cancellazione del Reddito di cittadinanza: rispetto agli 8 miliardi spesi nel 2022, le due nuove misure che lo sostituiscono ne costano (per l’intero 2024) solo 7 – l’Assegno di inclusione 5,6 miliardi più 1,4 miliardi per il Supporto per la formazione. Il risparmio di un miliardo sulla povertà effettuato con questa operazione sarà dunque un «tesoretto» che Meloni e Giorgetti utilizzeranno nella prossima legge di bilancio.

Quanto allo strombazzato taglio del cuneo fiscale, le cose sono più complicate. L’articolo 39 – il quintultimo dei 44 del decreto per soli cinque righe di testo – prevede Per i periodi di paga dal 1 luglio 2023 al 31 dicembre 2023 «l’esonero sulla quota dei contributi previdenziali è incrementato di 4 punti percentuali, senza ulteriori effetti sul rateo di tredicesima». Per la misura vengono stanziati «4.064 milioni di euro per l’anno 2023» e solo «992 milioni di euro per l’anno 2024».

Oltre ai tre miliardi (e più) mancanti, per rendere – come da promessa – «strutturale» il taglio, il governo Meloni dovrà trovare le risorse anche per coprire i tagli del cuneo ereditati da Draghi. Insomma, nella prossima legge di Bilancio serviranno almeno 10 miliardi, rendendo impossibile qualunque intervento su pensioni e riforma del fisco.
In più l’aumento di un mese di copertura rispetto ai cinque iniziali comporta un abbassamento del taglio e i «100 euro in più» annunciati da Meloni diventano una vera chimera per qualsiasi lavoratore dipendente con reddito lordo annuo inferiore a 35 mila euro.

Quanto alla liberalizzazione dei contratti a termine con cancellazione delle causali e all’aumento dell’uso dei voucher rimane tutto immutato o quasi. Il tetto per le «prestazioni occasionali» annue viene alzato dagli attuali 10.000 a 15.000 euro per gli utilizzatori che operano nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento». Per i giovani il presente è sempre più di precarietà.