La nomina alla presidenza della Biennale Venezia di Pietrangelo Buttafuoco non è una sorpresa. Erano mesi che il nome del giornalista e scrittore, intellettuale di punta della destra, veniva dato come certo per la successione di Roberto Cicutto. Il quale lascerà il mandato a scadenza, il prossimo marzo 2024 mentre la nomina di Buttafuoco prevede ora il parere consultivo delle commissioni parlamentari. Sul Lido, nei giorni della Mostra del cinema, chiunque lo dava per certo, quasi fosse stato già ufficializzato, e c’era tra questi anche chi non nascondeva una certa preoccupazione locale rispetto alla gestione della macchina Biennale – che è certamente tra le più complesse istituzioni culturali italiane.

Ieri l’annuncio trionfale dato da Raffaele Speranzon, senatore di Fratelli d’Italia – ha preceduto addirittura quello del ministro Sangiuliano. «È stato infranto un altro tetto di cristallo» ha esultato Speranzon, ovvero finalmente quello che definisce «un feudo della sinistra dove collocare amici e accoliti avrà un cambio di passo». Già, ma quale? Se infatti la nomina era largamente annunciata anche i dubbi permangono. Le azioni della destra negli ultimi mesi in campo culturale, dalla cacciata per decreto legge – un precedente gravissimo – dalla presidenza del Centro sperimentale di cinematografia di Marta Donzelli prima della fine del suo mandato, ai ripetuti attacchi al direttore del Museo Egizio Christian Greco, di cui la Lega esigeva le dimissioni, dimostrano che la cultura viene considerata solo uno dei tanti spazi da occupare senza alcuna visione né politica né culturale.

Buttafuoco è una figura solidamente di destra: sessant’anni, cresciuto tra Msi, Alleanza nazionale, scrittore, l’ultimo libro è dedicato a Berlusconi (Beato lui. Panegirico dell’arcitaliano Silvio Berlusconi) direttore del Teatro stabile di Catania e di quello dell’Abruzzo, opinionista tv – che sa essere convincente – la sua firma appare su Sole 24 ore, Repubblica, Il Fatto. Meloni nel 2015 però non lo volle alle elezioni in Sicilia perché aveva resa pubblica la sua conversione all’Islam. Oggi le cose sono cambiate, evidentemente.

Ma il punto non è (soltanto) Buttafuoco – i cui indirizzi non possiamo criticare prima che inizi – quanto la politica di occupazione a «qualunque costo» messa in campo dalla destra a scapito di una reale progettualità dei luoghi occupati, se non appunto piantare la bandierina (e come andrà poco importa, la Rai con i risultati pessimi delle new entry meloniane lo dimostra).
Il fatto è che pensare e governare delle istituzioni culturali non è questione solo di essere «esteti» o «provocatori», di apparire, di tappeti rossi, di clamori mediatici: per arrivare ai risultati c’è bisogno del lavoro minuzioso di ciascuno, di conoscenza degli equilibri e dei diversi territori. Chi ha fatto questo, la macchina cioè, e chi l’ha governata in Biennale lo ha fatto bene e con massimo impegno che ha garantito ottimi esiti sfidando anche il terremoto della pandemia – la Mostra del cinema è stato il solo grande festival internazionale ad avere luogo quando tutti gli altri,Cannes compreso, sono stati cancellati.

Il fortino da espugnare – cioè la Cultura – che sembra essere l’ossessione della destra non è un buon punto di partenza per una politica culturale. Perché non si tratta di «trofei» o del solito ritornello di una sinistra che la voleva per sé ma di progetti. E di risultati. Che per ora non si vedono.