L’intervista all’ex presidente della Consulta
di Liana Milella
Professor Giovanni Maria Flick ha sentito la notizia?
All’improvviso, dal carcere di San Vittore, ieri hanno annullato la presentazione del libro di Amato e Stasio sulla Costituzione che si sarebbe dovuta tenere stamattina…
«Ma che mi sta dicendo? Di cosa si è trattato? Un colpo di fulmine oppure un colpo di sole?».
Beh, a Milano ce n’è poco di sole.
Ma la sorpresa per chi ha organizzato l’appuntamento e per gli autori che erano già in viaggio è stata grande.
«I primi a cui bisogna guardare per capire se ci sono rimasti male sono i detenuti di San Vittore che dovevano essere i protagonisti della visita e le persone più interessate. Di quest’annullamento non ne capisco le ragioni…».
In verità sono molto fumose. Da Roma hanno detto agli autori che la presentazione del libro sulla Costituzione “non era prevista nel programma di formazione autorizzato”.
«Mi pare una motivazione burocratica che peraltro contrasta sia con il rilievo di una testimonianza sulla Costituzione in carcere per di più autorevole, come quella di un ex presidente della Corte, e mi pare anche una smentita maldestra rispetto all’apprezzamento con cui era stato accolto il viaggio dei giudici nelle carceri, San Vittore compreso».
Beh, è sicuramente uno sgarbo ad Amato…
«Lo sgarbo c’è, ma mi preoccupano le ragioni e il livello a cui è stato fatto.
Perché è soprattutto diretto ai detenuti che avrebbero dovuto ascoltare i due autori, e finisce per essere un messaggio che di Costituzione è meglio non parlare».
Peraltro proprio a San Vittore lo stesso gruppo di detenuti è impegnato in un lungo lavoro sulla “Costituzione viva” nato dopo il viaggio della Consulta tanto da prenderne anche il nome.
«Quando il viaggio nelle carceri cominciò ricordo di aver detto che c’era il rischio che mentre i giudici della Corte entravano dalla porta del carcere, la Costituzione potesse uscire dalla finestra. Mi pare che la mia profezia si stia realizzando oltre misura non solo perché si chiude la finestra, ma perché si impedisce a un giudice, anche se ex, di entrare dalla porta per dialogare sulla Carta. Per di più utilizzando argomenti formali e burocratici, come sembra, per giustificare il divieto, in palese contrasto con la gravità e drammaticità del problema carcere».
A caso ormai scoppiato, il direttore del Dap Giovanni Russo, peraltro otto ore dopo che l’incontro era stato “rinviato”, parla di una futura “riprogrammazione”. Forse si sono resi conto di aver commesso un errore…
«Il problema è che ormai l’errore è stato commesso. Non so, a questo punto, a quale livello e da chi. Non lo so, ma in fondo non mi interessa, perché è l’errore in sé che conta».
Ma non basta, perché il ministro Nordio dice che a quella futura presentazione “vorrà esserci”.
Parole che confermano la scortesia di una decisione tutta politica.
«Se è una domanda, è suggestiva. Ma non spetta certo a me decifrare le intenzioni altrui».
Ammetterà che nel libro di Amato e Stasio si parla di rispetto della Costituzione, del peso della Consulta, di fine vita, dei figli delle coppie gay, tutti argomenti avversati da questo governo.
«Certo. Sono temi fondamentali che toccano la coscienza di tutti, e non c’è niente di male a parlarne con serenità. Mi piace pensare che un ministro abbia il desiderio e l’interesse di parlarne anche lui…».
Con 15 suicidi nel solo mese di gennaio e celle in ebollizione, forse il governo e lo stesso Nordio non vogliono che un ex presidente della Consulta parli di diritti in carcere.
«Non so quali siano le informazioni che hanno la premier e il ministro, ma non credo che dietro questo caso ci possa essere un’intenzione simile.
Penso piuttosto alla disorganizzazione e alla sconnessione che l’episodio dimostra nel funzionamento della realtà carceraria, anche dal punto di vista istituzionale».
Due settimane fa lei ha presentato il libro di Amato e Stasio. Vi ha letto dei contenuti che, portati in carcere, possono “dispiacere” al governo?
«Direi proprio di no. Quel libro è una testimonianza di ciò che quotidianamente leggiamo sui giornali».
E cioè?
«Che il carcere così com’è adesso non può certo andare avanti. E che non si possono escludere anche episodi clamorosi di reazione, com’è già accaduto».
Forse in via Arenula e al Dap qualcuno ha avuto paura che le parole di Amato potessero mettere ancora più in crisi di quanto non sia la gestione delle patrie galere?
«È proprio questo che mi sconcerta.
Che il carcere venga visto in una dimensione burocratica e che ci si illuda, non parlandone, di nascondere i suoi drammatici problemi. E che vi sia uno scollamento tra la consapevolezza dei vertici e la realtà quotidiana, rivelata soprattutto dalla drammaticità dei rincorrenti suicidi».
Bloccare la presentazione del libro è stato un modo di silenziare il carcere?
«In questo momento bisogna parlarne sempre di più, e a tutti i livelli, e soprattutto con i veri protagonisti del dramma, cioè i detenuti».