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10 Dicembre 2022La destra è diseguaglianza
10 Dicembre 2022
di Massimo Franco
L’uscita di tre consiglieri della Lega di Matteo Salvini in Lombardia è un sintomo. Ed è possibile che non intacchi più di tanto il tentativo del centrodestra di mantenere il controllo della Regione: la loro espulsione immediata colpisce, ma lo stesso Umberto Bossi, al quale si erano rivolti, cerca di ricomporre la rottura. L’episodio risulta però rilevante perché evoca un rischio di «guerra civile» nel Carroccio; e proprio nel cuore territoriale e politico del suo potere trentennale. In più, lo smottamento arriva dopo la sfida vinta il 25 settembre dal partito di Giorgia Meloni nel nord berlusconiano e leghista. Stavolta, però, la diaspora è a favore della costola storica della Lega. Il sintomo diventa così la conferma di un affanno, se non di una crisi, che sembra in primo luogo della guida e della strategia di Salvini. Il leader ha perso molti voti ma ottenuto molti ministeri e posti di potere. Da quando Meloni si è insediata a Palazzo Chigi, ha fatto parlare di sé ogni giorno. Ha promosso una miriade di iniziative. Si è candidato di fatto a premier ombra più del berlusconiano Antonio Tajani, ministro degli Esteri. Eppure, la sensazione è che Salvini non riesca più a incidere: anche se il leader del cosiddetto Terzo polo, Carlo Calenda, cerca di provocare la premier sostenendo che la sua finora è l’agenda della Lega. La realtà racconta una situazione diversa, di un Salvini che non riesce né a fermare né a placare i malumori che serpeggiano nel suo partito. I potenziali concorrenti, dal governatore del Veneto, Luca Zaia, a quello del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, giurano di non volerlo sfidare. «La Lega», dicono, «è una». E in effetti, al momento non si intravede un’altra leadership. Smottamenti come quello di ieri in Lombardia, però, segnalano un malessere più grave di quanto appaia. Né si può pensare che l’anziano leader Bossi prefiguri un’alternativa. Si indovina qualcosa di diverso e più profondo, sebbene meno insidioso nell’immediato per Salvini. Si tratta di un’iniziativa tesa più a richiamare alla gravità della situazione un vertice che detiene il potere da così lungo tempo da ritenersi inamovibile. Questo aggrava i difetti di chi sta al governo da troppo a livello locale. E con la sua autoreferenzialità delude l’elettorato. Il problema, per Salvini, si porrebbe se il gruppo «nordista» di Bossi passasse dal limbo all’appoggio alla candidata e transfuga del centrodestra, Letizia Moratti; o se comunque a febbraio la Lega perdesse la «sua» regione. Certo, ormai è difficile per il capo del Carroccio ignorare quanto accade. Dietro al conflitto tra leghismi c’è una destra pronta a sostituirli puntando a rappresentare lo stesso blocco sociale.