Privatizzare sì, ma con prudenza e attenzione. Sono paletti tutt’altro che simbolici quelli che Giancarlo Giorgetti ha deciso di fissare per dare il senso del perimetro delle dismissioni dei beni dello Stato. Per questo, recita la traccia operativa del ministro dell’Economia, la vendita riguarderà solo piccole quote di minoranza. Facendo attenzione, quindi, a preservare il controllo pubblico, soprattutto nelle società considerate strategiche. Avanti, ma con giudizio. Come sul Monte dei Paschi di Siena, in cima alla lista delle operazioni attenzionate, di concerto con Palazzo Chigi. Ma la maggioranza è in subbuglio. Forza Italia non ci sta.
Una valanga di telefonate, ieri, tra alcuni parlamentari azzurri e gli operatori portuali per dare seguito alla proposta di privatizzare i porti, lanciata negli scorsi giorni dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. E che ha fatto arrabbiare Matteo Salvini. I forzisti lavorano a un disegno di legge che riguarderà i porti, turistici e commerciali. Primo punto: trasformare le Autorità portuali in Spa. «In questo modo – spiega il portavoce del partito Raffaele Nevi – possiamo attrarre investimenti e capitali privati». Con un tocco di amarcord perché a ispirare il lavoro sono le “Autostrade del mare”, il progetto per le infrastrutture lanciato da SilvioBerlusconi nel 2001. È solo il primo atto. La lista è in via di definizione, ma già lunghissima: ci sono, tra le altre voci, il trasporto pubblico locale, l’edilizia sanitaria e alcuni servizi della Pubblica amministrazione.
La partita operativa, al momento, si gioca però al Mef e a Palazzo Chigi. «Discutiamo di uno Stato che entra in una partecipazione strategica (Tim) ma può darsi che ci siano altre realtà dove sia opportuno disinvestire». Le parole diGiorgetti, al termine del Consiglio dei ministri di lunedì, hanno scatenato la caccia alle possibili dismissioni che potrebbero compensare, in tutto o in parte, l’investimento in Tim. E gli occhi degli addetti ai lavori si sono indirizzati sul Monte, la banca di cui il Tesoro detiene il 64,2% e dalla quale deve uscire per impegni presi con la Ue (informalmente si dice entro fine 2024, anche se la scadenza precisa non è mai stata comunicata ufficialmente). Il Monte dei Paschi,sotto l’abile regia di Luigi Lovaglio, è riuscito a finalizzare un aumento di capitale da 2,5 miliardi nel novembre 2022 a 2 euro per azione e nel 2023 il titolo è prima salito fin oltre 2,8 euro (quando Axa è uscita vendendo le sue azioni con plusvalenza), poi è tornato sotto i 2 euro e poi, dopo i risultati semestrali, è risalito fin quasi a 2,8. Tanto che diverse banche d’affari hanno consigliato al Mef di approfittarne per cominciare a collocare almeno una parte di quel 64% sul mercato.
Ma il 7 agosto è arrivata la doccia fredda dello stesso governo Meloni, la tassa sugli extraprofitti delle banche. I titoli bancari in Borsa perdono il 10% e il Monte non è da meno: avendo una diffusa rete italiana, Siena presta alle imprese e la crescita del margine di interesse nei primi sei mesi dell’anno ha aiutato molto il miglioramento dei conti. Insomma con quel provvedimento il governo ha fatto del male a sè stesso, avendo in pancia il 64% di Mps. Ora il titolo sta recuperando e Giorgetti sta probabilmente pensando di seguire quel consiglio dei banchieri d’affari, collocando sul mercato una quota, non si sa quanto grande, delle azioni in portafoglio. Lo dovrà fare a sconto, ma comunque la plusvalenza è assicurata visto che il valore di carico è 2 euro.