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Era il 1909 e in un bosco d’America tredici ragazze posavano intorno a un albero. Tutte indossavano gonne e stivaletti, e tutte avevano scelto di farsi ritrarre “in verticale”, disobbedendo alla legge di gravità come fa ogni creatura verde, filo d’erba, rosa, quercia, che tende naturalmente al cielo. Per decenni questa immagine è rimasta protetta dai fogli scuri di un album di famiglia. Poi un giorno, nelle folate di vento dei traslochi, qualcuno l’ha sradicata dal suo supporto e l’ha abbandonata nell’immensa foresta delle fotografie anonime. Una foglia fragilissima che insieme a infinite sorelle ha creato un altro albero genealogico, un altro album di famiglia senza confini di geografia e di tempo, l’album delle donne che salgono sugli alberi. Il nostro.
Se è vero che ci sono più alberi sulla terra che stelle nella Via Lattea, questo destino di crescita libera dovrebbe essere il destino di ognuna di noi. Un’occasione, un vivere ogni giorno il sublime matematico delle possibilità. Non è stato sempre così, e questo piccolo libro, sostenuto da Grazia Corali, presidente del Gruppo Corali, e la mostra aperta a Fotografica. Festival di fotografia di Bergamo, lo raccontano intrecciando alle fotografie della collezione di chi scrive le voci di donne, che hanno reclamato il diritto di arrampicarsi, non importa quanto, perché basta un metro per cambiare orizzonte. Ogni selva oscura cambia se la guardiamo come la guardano gli uccelli, gli scoiattoli, gli orsi, le formiche, le api.
Nel volume L’albero filosofico, Carl Gustav Jung parla di “individuazione”, ed è il processo che ci permette di scendere alle radici della vita psichica e di avviare una spontanea presa di coscienza. Guarire è riconoscere il proprio albero interiore, archetipo di energia vitale. Guarire è comprendere, ovvero “afferrare insieme” le radici e le foglie, e trovare una via di fioritura inedita rispetto a quanto stabilito nel buio della nascita. Salire sugli alberi significa dunque diventare potenti, perché profondamente sé stessi. Così per il Buddha, così per gli sciamani, così per Merlino, che in cima al pino di Barenton ottiene la conoscenza suprema. Così idealmente è per tutti gli uomini. […]. E le donne che non sono ninfe, né madonne arboree, le donne insomma che nascono mortali e fanno miracoli di resistenza quotidiana, quando iniziano ad arrampicarsi, divenendo anche loro “rampanti”? Quando non chiedono più agli alberi di nasconderle. Quando l’energia che fa crescere il legno contamina il corpo femminile senza pretendere in cambio il dolore della metamorfosi. Le donne salgono davvero sugli alberi e conquistano il dominio sulla natura, anche la propria natura, quando nutrono di un’altra linfa i pensieri, quando osano dire, come Aristotele, che «gli alberi sono persone che sognano». Le donne salgono sugli alberi quando disubbidiscono. E ogni donna che disubbidisce è figlia della più celebrata delle disubbidienti: Eva.
Ascoltando la voce delle nuove Eva, dal dodicesimo secolo a oggi, questo libro riporta le battaglie di alcune di loro, mistiche, scrittrici, filosofe, fotografe, ecologiste, imprenditrici, alpiniste, che hanno disubbidito e sono salite sull’albero dellga consapevolezza e della propria realizzazione. Da quel vertice Cristina di Sint-Truiden, Louisa May Alcott, Sarah Orne Jewett, Voltairine de Cleyre, Anne Brigman, Astrid Lindgren, Simone de Beauvoir, Beah E. Richards, Julia Butterfly Hill, Bianca Di Beaco, Tiziana Weiss e Riccarda de Eccher hanno detto: «Io non scendo».
Insieme alle grandi figure del mondo femminile, a ricordarci che ognuna di noi può scegliere il suo destino, sono le donne che dai primi del Novecento a oggi hanno posato sugli alberi, in Europa e negli Stati Uniti. Le cento fotografie anonime di cui è composto il libro invitano a entrare nella storia di ogni donna e a studiarne il corpo. Queste donne, eleganti e leggiadre, spavalde e tomboy, bambine e adulte, sole e tra amiche, hanno scelto di farsi ritrarre nel giardino di casa, ai margini di un bosco, nei campi, di fronte a uno specchio d’acqua. Tra i rami alcune di loro hanno portato un libro, come Jo March, protagonista di Piccole Donne, altre un binocolo, una macchina fotografica, un fazzoletto da ricamare […].
Nel 1909, nello stesso anno in cui veniva scattata la fotografia che apre la raccolta, Alice Huyler Ramsey, in compagnia di tre amiche e a bordo di una macchina attraversava gli Stati Uniti, viaggiando da Manhattan a San Francisco per cinquantanove giorni lungo più di seimila chilometri. Alice era stata la prima donna a compiere una simile impresa. E allora saliamo a bordo anche noi. Saliamo sugli alberi. Volere il nostro futuro non è mai stato così facile.