Parigi, Sciences Po rioccupa e la polizia risgombera subito
4 Maggio 2024Ecco cosa accende la rivolta studentesca
4 Maggio 2024«Dopo gli orrori del 7 ottobre una parte dell’Occidente si è schierata con i carnefici»
L’intervista
di Stefano Montefiori
Gilles Kepel: «L’ateneo ha ceduto all’ideologia woke»
PARIGI Professor Kepel, lei è uno dei maggiori esperti mondiali di Medio Oriente, ha appena pubblicato in Francia il libro «Olocausti» su Israele, Gaza e «la guerra contro l’Occidente» che uscirà in Italia dopo l’estate per Feltrinelli, e ha insegnato per trent’anni a Sciences Po. Che cosa pensa di quello che sta accadendo alla sua ex scuola?
«È il crollo di un’istituzione fondamentale, che ha capitolato di fronte all’ideologia woke e ha rinunciato alla trasmissione del sapere. Un declino cominciato purtroppo molti anni fa, quando l’allora direttore Richard Descoings, poi scomparso a New York in circostanze poco chiare, ebbe l’idea, in teoria ottima, di aprire Sciences Po a studenti venuti dalla periferia, dalle banlieue, estranei ai soliti quartieri parigini».
Lei era contrario a questa apertura?
«No, anzi, Descoings mi associò alla sua iniziativa e a me pareva una cosa positiva, sono andato io stesso nei licei di periferia a preparare i ragazzi al concorso d’ingresso».
E allora che cosa non ha funzionato?
«Democratizzare l’accesso era giusto, ma non si è fatta abbastanza attenzione a mantenere alto il livello degli studenti, e anche della direzione. Dopo la morte tragica di Descoings, alla testa di Sciences Po si sono succeduti due alti funzionari, non due professori. Si è puntato tutto sulla democratizzazione e sulla internazionalizzazione, il che poteva andare bene, ma si è trascurato il sapere, cioè la ragion d’essere profonda di una istituzione di alto livello come Sciences Po».
Come si collega questo problema specifico di Sciences Po ai campus americani?
La situazione
«È il crollo di un istituto che ha rinunciato
alla trasmissione
del sapere»
«Lo si vede bene nel comunicato con il quale una settimana fa l’attuale amministratore provvisorio di Sciences Po ha annunciato un town hall, un incontro tra direzione e studenti, copia incolla dal gergo dei campus americani. Sciences Po è in preda alla propaganda della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, che vuole una re-definizione degli equilibri globali. In questo senso il 7 ottobre è peggiore dell’11 settembre».
Perché?
«Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 l’Occidente reagì compatto, il Corriere della Sera e Le Monde scrissero in prima pagina “siamo tutti americani”. Dopo le atrocità del 7 ottobre invece una parte almeno dell’Occidente si schiera con i carnefici e non con le vittime, come fanno gli studenti che non fanno tante distinzioni su Hamas e palestinesi. Quando vedo che la guida suprema iraniana Khamenei applaude alle proteste di Parigi, penso che abbiamo toccato il fondo».
Non è lecito denunciare le migliaia di civili palestinesi uccisi dalle scelte del premier israeliano Netanyahu?
«Certamente. Quando però vengono totalmente dimenticati il massacro del 7 ottobre e il fatto che ci sono ancora oltre 100 ostaggi nelle mani di Hamas, allora la protesta diventa meno basata sui fatti e più sull’ideologia. Qualche giorno fa si sono affrontati manifestanti pro-Israele e manifestanti pro-Palestina, l’anfiteatro Boutmy dove ho tenuto tante lezioni è stato ribattezzato anfiteatro Gaza: è il contrario di quello che dovrebbe accadere in un’istituzione universitaria, fatta per la messa a confronto argomentata di tutte le posizioni».
In un precedente libro lei ha parlato di «jihadismo d’atmosfera». Lo vede all’opera in questi giorni?
«Non ci sono violenze, almeno per il momento, per fortuna. Ma questo clima, alimentato per anni dai Fratelli musulmani, ha favorito le uccisioni dei professori Samuel Paty e Dominique Bernard. Spero che qualcuno non ne approfitti tornando a collegare Olimpiadi e causa palestinese, come accadde nel 1972 a Monaco».