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Erano partiti dalla Turchia. Su un veliero. Tutti stipati: quasi 80 persone e bambini. Cittadini iraniani , afghani e curdi iracheni in viaggio dalle coste turche con l’unico sogno di raggiungere l’Europa e iniziare una nuova vita. Ma per molti quel sogno e quelle vite sono affondate con il veliero a 120 miglia dalle coste italiane. Ci sono almeno 66 tra morti e dispersi (una donna è deceduta subito dopo essere stata soccorsa) e 11 persone salvate. È il drammatico bilancio dell’ultimo naufragio che si è consumato davanti alle coste della Calabria.
Secondo la ricostruzione dei sopravvissuti, il motore dell’imbarcazione, partita otto giorni prima dalla Turchia, si sarebbe incendiato, facendo rovesciare lo scafo a 110 miglia nautiche dalle coste italiane. «Ho parlato con un ragazzo che ha perso la sua fidanzata. I superstiti hanno parlato di 66 persone disperse, tra cui almeno 26 bambini, anche di pochi mesi – racconta un volontario di Medici senza frontiere che ha accolto i superstiti a Roccella Jonica– Intere famiglie dell’Afghanistan sarebbero morte. Sono partiti dalla Turchia 8 giorni fa e da 3 o 4 giorni imbarcavano acqua. Ci hanno detto che viaggiavano senza salvagente e che alcune imbarcazioni non si sono fermate per aiutarli». Dalla scorsa notte la Guardia costiera è impegnata nella ricerca dei dispersi.
Ma non è l’unica tragedia. Poche ore prima la scoperta di altri 10 corpi senza vita, lungo la rotta del Mediterraneo centrale: dalla Libia verso l’Italia. La nave Nadir della Ong tedesca Resqship ha soccorso una barca in legno pieno d’acqua nella quale c’erano 61 migranti, dieci dei quali trovati senza vita nella parte inferiore della barca allagata. I 51 sono stati portati sul Nadir e sottoposti alla prime cure mediche. Due di loro erano nello scafo privi di sensi. I loro paesi di origine sono Siria, Egitto, Pakistan, Bangladesh.
« Il team è intervenuto con un’ascia per rompere lo scafo ed entrare all’interno del barcone – fanno sapere dalla Ong I soccorsi sono arrivati troppo tardi per 10 persone. I nostri pensieri sono con le persone in lutto. Siamo arrabbiati e tristi. La Fortezza Europa uccide».
In questo secondo naufragio le vittime avrebbero perso la vita per soffocamento sul ponte inferiore dell’imbarcazione.
Sull’ultima duplice tragedia delle migrazioni c’è rabbia e indignazione. «Queste tragedie avvengono davanti ai nostri occhi. Eppure nulla si muove – commenta padre Camillo Ripamonti del Centro Astalli – Serve un sussulto di umanità. La gestione delle migrazioni richiede lungimiranza, visione e responsabilità. Limitarsi a misure di contenimento, costose in termini economici e di vite umane, non è la soluzione».
Con il bilancio ancora provvisorio degli ultimi due naufragi, il numero dei morti e dispersi nel Mediterraneo centrale sale a oltre 800, «una media di quasi 5 morti e dispersi al giorno dall’inizio dell’anno», fanno i conti l’Unhcr,-Agenzia Onu per i Rifugiati, l’Oim-Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e l’Unicef- Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia. Per le tre organizzazioni «questi ennesimi incidenti generano un senso di profonda frustrazione » per i ripetuti appelli inascoltati a potenziare risorse e capacità per le operazioni di ricerca e soccorso in mare a supporto della Guardia Costiera Italiana. «Ogni naufragio rappresenta un fallimento collettivo, un segno tangibile dell’incapacità degli Stati di proteggere le persone più vulnerabili».
A tre giorni dalla Giornata Mondiale del Rifugiato con la quale si ricorda il dramma di 120 milioni di persone costrette a fuggire da guerre, violenze e persecuzioni, sottolineano, «questi nuovi incidenti in mare, che coinvolgono rifugiati e migranti, risultano quanto mai inaccettabili». Unhcr, Oim e Unicef rilanciano l’appello comune di percorsi sicuri e regolari per i migranti che vogliono raggiungere l’Europa, «affinché non siano costrette a rischiare la vita in mare».
Per Save the children, il cui team è intervenuto a Roccella Jonica e a Lampedusa per dare supporto ai naufraghi, serve «un sistema europeo di ricerca e soccorso in aggiunta all’apertura di vie regolari di accesso, tra cui corridoi umanitari e di evacuazione per le persone in fuga, ricongiungimenti familiari più rapidi e visti per studio».