Il 14 luglio scorso sono state sciolte le camere. Il 22 agosto sono state presentate le liste. Un rito vissuto come se fosse avvenuto un atto normale della vita parlamentare. Invece lo scioglimento delle camere è avvenuto non perché il governo sia stato sfiduciato ma perché ha avuto una fiducia ridotta.
Il che vuol dire che lo scioglimento anticipato delle camere è stato in realtà uno scioglimento posticipato. Doveva avvenire in precedenza. Da tempo bisognava prendere atto dell’afflosciamento della vita parlamentare: dal taglio dei parlamentari alla composizione e ricomposizione di governi antitetici. Ma questa è storia già scritta.
Fra il 22 agosto e il 25, il giorno in cui Mario Draghi ha parlato a Rimini, c’è stato un breve lasso di tempo in cui il sistema politico era in attesa di iniziare la corsa elettorale. Ma Draghi quel giorno, al Meeting di Comunione e liberazione, ha aperto e chiuso la campagna elettorale. Il suo discorso non è stato quello di un presidente infantilmente piccato per non essere stato sostenuto fino alla fine della legislatura. Sotto c’è qualcosa di più importante che prepara una evoluzione generale del quadro politico.
Dopo l’inno alla sua attività di governo, il gloria a chi lo ha sostenuto e a chi lo ha guidato, gli elogi ai sindacati e a tutti, ai sofferenti e ai gaudenti, in un’orgia di ringraziamenti, Draghi ha liquidato il partito degli amici di Draghi. Al Terzo polo ha detto in pratica “siete irrilevanti”.
Al Pd ha detto di non sbracciarsi “tanto non governerete”. Alle destre ha detto “otterrete la maggioranza ma non illudetevi che questa sia una condizione di stabilità politica, anche voi dovrete fare i conti non con l’agenda Draghi, ma con il metodo Draghi”, cioè la capacità di mettere insieme la maggioranza con l’opposizione, cioè creare condizioni di basso conflitto perché solo così è gestibile un paese che ha una politica economica e sociale condizionata dall’Europa. «Nessuno stato potrà fare da solo», ha detto Draghi.
Ma se nessuno stato può fare da solo e lo stato politico sovranazionale non c’è diventa necessario un “lord protettore”. Si crea dunque una condizione astratta e concreta insieme. Astratta perché non è istituzionalmente presente; concreta perché sta nella realtà del Commonwealth: gli stati che appartengono a un impero comune mantengono un certo grado di autonomia ma in realtà sono in una situazione di garbato colonialismo.
Non dico che siamo nella situazione inglese del 1650. Ma con quel discorso Draghi ha dato il via a una nuova figura giuridica-istituzionale che supera l’assetto costituzionale del paese. Il lord protettore è chi usa la legge perché egli stesso è la legge, dispone della forza perché egli è la forza, manipola le istituzioni perché è egli stesso le istituzioni, gode della fiducia del potere esteri perché è punto di riferimenti del potere sovranazionale. Questo è il lord protettore moderno, non un dittatore ma uno che dà l’orientamento, il consiglio. Per il lord protettore il paese deve essere sereno, unito, deve superare le difficoltà economiche e sociali perché restare nella cabina di regia dell’impero.
Il lord protettore è una nuova figura che entrerà presto in conflitto con le figure di garanzia costituzionale del paese. Non dico che sarà il conflitto fra Cromwell e Carlo I, ma vedo all’orizzonte una situazione nella quale il lord protettore diventa incompatibile con la struttura democratica dell’assetto costituzionale del paese, che prevede una Repubblica parlamentare.