Il pasticcio bonus mamme
31 Gennaio 2024Sinistra in quarantena
31 Gennaio 2024dopo il voto sul fine vita
di Antonio Polito
I «cattolici adulti» si son fatti vecchi, ma nel Pd stanno ancora a litigare sulla bioetica. Come se nulla fosse. Come se fossimo tornati indietro di diciotto anni, quando sui Pacs, poi Dico, insomma le unioni di fatto, rischiò di cadere il governo Prodi, e forse dalla paura non si riprese mai più. Tutto è cominciato in Veneto, come si sa.
C’è una consigliera regionale del Pd che non vuol far passare la legge Zaia che disciplina «in loco» il fine vita. Con due argomenti. Il primo: ci vuole una norma nazionale per recepire la sentenza della Consulta, non è che possiamo fare l’eutanasia alla veneta o l’aborto alla toscana. Il secondo: la Corte costituzionale invita lo Stato a legiferare, perché non esiste un dovere di vivere a ogni costo. Ma dice anche che bisogna garantire la qualità delle cure palliative, altrimenti non c’è vera scelta per il malato terminale: o soffre o muore.
Il suo partito vuole però che la legge di Zaia passi, anche per fare un bel dispettuccio a Salvini e alle sue «madonnine». A questo punto, pur avendo ormai da tempo — e questa è davvero una notizia — una posizione unitaria sul tema, contenuta in un disegno di legge che porta il nome di Bazoli, che ha accontentato tutti e che è già passato in un ramo del Parlamento nella scorsa legislatura, il Pd si divide, e questa non è davvero una notizia. Alla ribelle, l’avvocatessa Bigon, viene chiesto di uscire dall’Aula: «Così conservi la tua libertà di coscienza, ma ci fai vincere la partita politica». Lei ribatte che la libertà di coscienza è una libertà politica, non di testimonianza, e che non serve a nulla se fa vincere la tesi che combatti. Così non esce dall’Aula, si astiene, e Zaia perde, con metà della sua maggioranza che gli vota contro. Naturalmente la notizia sarebbe che il centrodestra si è spaccato in due in Veneto. Ma il Pd riesce prontamente a far dimenticare la cosa, attirando l’attenzione sulle sue divisioni.
La Bigon sarebbe infatti scomparsa presto dai radar se non fosse stato per una frase della segretaria Schlein, pronunciata in quel di Gubbio (a conferma che i conclavi portano male alla sinistra). La leader dice infatti dal palco che quel voto è stata una «ferita»: «Se il partito ti chiede di uscire dall’Aula, è giusto farlo e non decidere da sola». In sostanza un appello all’antica «disciplina di Partito», con la P maiuscola, dal più imprevedibile dei pulpiti. Pure Prodi, che le vuol bene, ha detto ieri a Marco Ascione sul Corriere che su quelle cose lì non c’è disciplina che tenga. E infatti, apriti cielo. Il segretario provinciale di Verona depone la sua «vice» Bigon, non si sa se eccitato dalle dichiarazioni di Elly o di suo.
Graziano Delrio, un cattolico che non ha mai votato Dc in vita sua ed è stato relatore di quel disegno di legge Bazoli di cui sopra, dice alt: «Chiariamoci, se il mio partito, nato per essere custode dell’incontro tra i valori dell’umanesimo cristiano e di quello socialista, diventa una copia del Partito radicale, che pure molto rispetto, allora non mi sentirei più a casa mia». Protestano ad alta voce anche capi corrente come Guerini, dirigenti come Serracchiani, padri nobili come Castagnetti. Ma davvero il Pd si può scindere per Zaia? La risposta sta in un’altra domanda: se escono, dove vanno?
Il fatto è che, un po’ alla volta, di case adatte ai cattolici in politica ne son rimaste ben poche, e stanno tutte dall’altra parte. Forza Italia è l’unico partito italiano che aderisca ai Popolari europei, ma insomma, di valori non si occupa poi molto. Poi c’è Giorgia-sono-una-madre-sono-cristiana, che ha messo Roccella alla famiglia, ma è troppo di destra per gli eredi di Moro e Andreatta. Tra l’altro, ricorda Guerini, il cattolicesimo democratico non è solo difesa della vita, «ma anche tante altre cose, liberaldemocrazia, economia sociale di mercato, scelta europea e atlantica». Alla fine, dalla Schlein lo divide più l’Ucraina che il Veneto.
Ma il vero limite per i cattolici che volessero muoversi sta nel Centro: una volta era accogliente perché moderato e cristiano. Oggi dei tre tronconi rimasti, Renzi, Calenda e Bonino, uno è più laicista dell’altro, e tutti e tre in Europa stanno con Macron.
Si direbbe dunque che, almeno fino alle Europee, il popolo cattolico resterà in schiavitù nel Pd di Elly. Poi, chissà, se questo Centro fallisse nelle urne, e per conseguenza ne nascesse uno nuovo, magari un Esodo si può organizzare. Ammesso che trovino un Mosè.