Patto di stabilità, Schlein: «L’Ue torna all’austerità e Meloni abbassa la testa»
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di Federico Fubini
Per il 2025 stretta da 4-6 miliardi. Tensione sui tempi per decidere sul deficit
Il momento della verità dell’incontro dei ministri finanziari europei ieri, ciascuno dal proprio ufficio, è arrivato quando il copione è saltato. È successo quasi subito. Nell’accurata messa in scena dalla presidenza di turno spagnola, per primo avrebbe dovuto parlare e approvare il nuovo Patto di stabilità il francese Bruno Le Maire. Dopo di lui, toccava alla benedizione da parte del tedesco Christian Lindner. E così è andata. Poi però sarebbe dovuto intervenire Giancarlo Giorgetti.
Invece il ministro dell’Economia fa slittare il suo turno di parola una volta, poi un’altra e un’altra ancora. Alla fine è l’ultimo a parlare. Quasi che, prima, Giorgetti avesse voluto verificare se qualche Paese prima dell’Italia si fosse pronunciato contro l’accordo. In quel caso, se il governo di Roma avesse voluto opporsi, non avrebbe finito per mettere un altro veto in solitudine come sta già accadendo sul Meccanismo europeo di stabilità. Di certo quella scelta di parlare per ultimo sarà stata vista dai ministri di altri Paesi come il sintomo che il loro collega italiano deve fare i conti con un fronte interno, non del tutto pacificato sui temi europei.
Fatto sta Giorgetti, quando è toccato a lui, si è espresso in modo costruttivo: come sempre in questo negoziato. Non era scontato. L’incontro a sorpresa della sera prima fra Lindner e Le Maire, tagliando fuori l’Italia all’ultimo miglio e facendone uno show politico, aveva creato molta tensione a Roma. Per il metodo ancor più che nel merito. Anche su quest’ultimo in verità Giorgetti ha negoziato sulle linee telefoniche fino a ieri mattina. Perché martedì sera Lindner aveva strappato a Le Maire un’ennesima concessione: specie per i Paesi più indebitati, le deviazioni accettabili dalla traiettoria di limitazione concordata della spesa sarebbero state ancora più piccole. Giorgetti allora ha chiesto e ottenuto che ad ogni ciclo di programmazione — fra quattro e sette anni — sia azzerato qualunque «arretrato» accumulato da un Paese nel comprimere la spesa pubblica.
Processo di rientro
Chiesto un rinvio per la definizione del processo di rientro dopo le Europee
Di sicuro Italia, Francia e Spagna ottengono di defalcare molte voci dalla correzione prevista dei conti sul 2025 (da disegnare nei prossimi mesi) e poi sul 2026 e 2027: non si terrà conto dell’aumento della spesa per interessi, mentre anche gli aumenti (non il totale) di spesa in investimenti verdi e per la difesa verranno scontato dal deficit. E questo sarà valutato in maniera «strutturale», tenendo conto di un ciclo economico oggi debole. Nella sostanza, una correzione del deficit che avrebbe dovuto essere dello 0,5% del prodotto lordo finirà per diventare dello 0,3% o forse anche dello 0,2% nella prossima legge di bilancio: fra quattro e sei miliardi di economie. Ai quali però se ne aggiungono altri 18 da trovare, se il governo vuole rifinanziare tutte le misure una tantum inserite nel legge di bilancio del 2024.
Giorgetti ieri all’Ecofin ha dimostrato di capire bene quanto sia alta l’asticella che ha davanti, quando si è battuto perché slitti il calendario dei prossimi passi. Per ora esso prevede che a febbraio prossimo ogni governo definisca con la Commissione Ue la propria traiettoria dei conti e ad aprile si fissino gli obiettivi «di medio termine». Il ministro italiano ha detto, in sostanza, che non si può chiedere a un governo di prendere impegni così delicati in piena campagna elettorale per le Europee di giugno. Ha chiesto un rinvio del processo a luglio. Ed è probabile che alla fine lo ottenga, non per accordo politico ma per la sua mancanza: servirà più tempo per trovare un compromesso fra le posizioni dei governi e le proposte dell’europarlamento sul Patto di stabilità.
Di certo l’Italia, come la Germania, aveva avuto la tentazione di rinviare a gennaio l’intesa di ieri. Se Giorgetti alla fine si è piegato, è anche per la chiara percezione che il tempo non lavorava per lui: mese dopo mese, Lindner continuava a rafforzare le sue richieste di rigore di bilancio e stava ottenendo quasi tutto. Tanto che Italia, Francia e Spagna sono state respinte di netto, quando ieri hanno cercato di mettere nelle regole dei (tenui) disincentivi perché l’attuale austerità del governo tedesco in Germania non trascini l’intera economia europea verso il basso.