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LE IDEE AMERICANE, A SINISTRA, E I FALLIMENTI INTERNAZIONALI. SVOLTARE SI PUÒ? CHIACCHIERATA CONBAGNASCO
La domanda l’abbiamo girata ad Arnaldo Bagnasco, emerito di sociologia all’università di Torino e uno dei più attenti studiosi del ceto medio a cui ha dedicato negli anni numerosi studi e pubblicazioni. “In prima battuta verrebbe da dire no – risponde. Le classi medie sono tante cose diverse e si sono ancora più differenziate, sono l’insalata mista che interpretava il sogno americano, sfidato oggi in modo pesante da un cambiamento profondo. La percezione del destino sociale sembra slittare dalla prospettiva di classi medie capaci di crescere e inglobare a quella della disuguaglianza sociale. Non è cosa di poco conto. La disuguaglianza appare conseguenza di fattori endogeni e esogeni, come dato non passeggero e in aumento e in questo senso da vedere e studiare come fenomeno strutturale”.
Le policy sono quindi destinate di per sé a slittare sul terreno, a non riuscire a scaricarsi a terra e questo a prescindere dai loro contenuti più o meno ben costruiti? “Nelle condizioni di oggi non credo che possano essere misure di policy più o meno coerenti, combinazioni incentivanti e redistributive a fare da tappabuchi, a risolvere il problema della crisi della classe media. Non aspettiamoci uno stato ricostruttore del ceto medio. I cambiamenti sociali sono effetti di interazioni complesse, e la politica da sola non può ottenere risultati relativamente stabili ed efficienti su più fronti”.
Il rischio però è quella di considerare la politica impotente, totalmente estranea ai processi di cambiamento sociale. “No, la politica può trovare il modo adatto per fare la sua parte – continua Bagnasco –, può anche insistere oggi elettoralmente, in America, sul tema della classe media e ottenere qualche risultato necessario, ma la questione va vista in profondità, innestata su un progetto di economia e società capace di fronteggiare un assetto che genera disuguaglianza sociale,
ormai sempre più percepita come tale”. Non si tratta solo di cercare di conservare nel mezzo un’area importante di reddito e consumi – aggiunge – ma di porre il tema dell’emergenza di nuove classi medie dentro quel progetto, riferito a nuove funzioni e nuovi equilibri economici, culturali e di interazione sociale. “E’ un punto cruciale: non si tratta per partiti progressisti semplicemente di raccattare consenso al centro, ma di farsi carico di una complessiva trasformazione della struttura sociale, controllando l’abnorme concentrazione di ricchezza, da un lato, e la crescita di un nuovo proletariato nei servizi allo sbando, dall’altro, che alimentano il populismo, indeboliscono la democrazia e generano inefficienza economica”.
Ma come si può definire o solo delimitare questo progetto perché non sembri irrealistico o solo una via per non rispondere a tono alle proposte dei dem americani? “Si tratta di ripensare il capitalismo, e non so se i democratici americani sono incamminati su questa strada nelle attuali circostanze e con i rapporti di forza dati. Non so valutare, ma sicuramente sarebbe un impegno di lunga lena, che può al massimo ora cominciare ad essere individuato e magari in certa misura impostato”. La teoria economica e sociale, secondo Bagnasco, aiuta solo fino a un certo punto. “Le classi medie possono essere una pesante palla al piede ma anche forze innovative della storia e oggi utili per quel ripensamento del capitalismo di cui parlo”.
Il professore racconta che sta leggendo Ripensare il capitalismo, di Mazzucato e Jacobs e lo considera utile ai fini di questa discussione. “E’ un libro intelligente perché al di là da richiami spesso generici alle responsabilità del neoliberismo chiama a raccolta specialisti che affrontano diversi problemi del capitalismo contemporaneo, intrecciati tra loro, e discutono con proposte alternative le politiche che li generano”. Alcuni sono problemi economici come la crescita lenta, le strategie a breve termine, la logica della rendita nella competizione fra grandi monopoli, i vincoli eccessivi di equilibrio di bilancio, altri con implicazioni più direttamente sociali come appunto la crescita della disuguaglianza che richiede di ridefinire l’idea di performance economica (vedi Stiglitz) o le conseguenze della esternalizzazioni di servizi pubblici e dell’invadenza in politica delle grandi corporation (vedi Crouch). “Seguendo questa strategia analitica si potrebbe dunque cercare di individuare categorie sociali in potenza o già portatrici di interessi in una nuova direzione, incentivarne la capacità di influenza, creare ponti tra spezzoni di tale nuova classe media emergente in problemi concreti diversi. Questa potrebbe essere la via secondo la quale pensare possibili policy incisive per la questione della classe media, ciò che richiede anche di ridefinire i rapporti tra nuovo e vecchio ceto medio in trasformazione e, come detto, in una direzione riconoscibile di riforma economica e sociale”.
Va da sé che se adottiamo questo punto di vista il collante economico, sociale e politico di una nuova classe media, la sua promessa è la capacità di contrastare la polarizzazione sociale. “Sì, e in un senso nuovo; è una strada di lunga lena ma è utile e interessante già monitorare le politiche per diverse componenti della classe media in relazione a un’idea di riforma che può manifestarsi e magari così aiutarla ad emergere”.