I partiti parlano ai giovani solo su TikTok, non nei programmi
5 Settembre 2022L’ora dell’agenda Tremonti
5 Settembre 2022di Alessandro De Angelis
A tre settimane dal voto, la sfida è tutta all’interno di un campo. Non il se, ma il quanto e il come. Cernobbio questo racconta: il trailer del film che verrà, segnato dall’ennesimo capitolo della competizione tra i due campioni del sovranismo nostrano, in uno scambio di ruoli (paradossale, se fossimo un paese normale): l’opposizione (Meloni) che di fronte al salotto buono compie passi sul terreno della legittimazione – atlantismo, Ucraina, vincoli di bilancio, un po’ meno sul Pnrr – e chi ha governato finora (Salvini), sia pur con scarsa convinzione, che gioca col solito schema di lotta e di governo, specialità della casa non sempre fortunata, sin dai tempi del Conte 1.
È esattamente il rovescio di un anno fa, quando la leader di Fdi, proprio a villa d’Este, denunciò la «dittatura sanitaria» del governo Draghi, nel tentativo di intercettare le aspettative deluse dal leader leghista (gli imprenditori contrari alle restrizioni). Il quale, a sua volta, in piena perdita di consensi, sfoggiò l’imbarazzo di stare al governo col cuore all’opposizione. Poiché però è probabile che tra poche settimane condivideranno una comune responsabilità, il trailer pone una serie di interrogativi proprio sul film. Più che sulla sua durata, assicurata dal collante del potere, dal cemento delle nomine, ma anche da un humus comune in tema di società chiusa, sulla sua trama e sulla sua qualità. Gli elementi di frizione sono molti: dall’immigrazione alla flat tax allo scostamento di bilancio, alle sanzioni, il terreno scelto da Salvini per scaldare politicamente l’autunno freddo e declinare, sul terreno della crisi, il tema geopolitico per cambiare la postura sull’Ucraina: non Capuano ma i termosifoni, non i viaggi a Mosca ma le bollette, insomma un filo-putinismo mascherato da pacifismo da portafoglio. Per completare il deja vu ci manca solo la battaglia navale da condurre nella tolda di comando del Viminale, questione demandata ai rapporti di forza che saranno sanciti nelle urne.
Per Giorgia Meloni si pone, sin da ora, e ancor di più se andrà a palazzo Chigi, un tema di egemonia sulla coalizione, non solo numerica in attesa del voto, ma politica. Finora ha proposto un mix: elementi di continuità con l’agenda Draghi; un po’ di berlusconismo d’antan (Tremonti, Pera, Nordio), frutto anche di un’assenza di classe dirigente che sappia stare a tavola; l’oscurantismo para-fascista sui diritti, esibito nei comizi con la carotide gonfia. Tutto questo può avere incorporati degli elementi di un’evoluzione possibile dentro cui governare in modo sfidante la Lega, ma anche elementi di contraddizione, per un partito la cui forza è stata finora la crisi altrui e ha passato dieci anni a criticare senza mai assumersi una responsabilità. La prova del sistema vale anche per lei. A Cernobbio si è posta già come il premier di una coalizione complicata, duttile su alcuni temi, più intransigente su altri. Al governo si vedrà se sarà l’ennesima meteora.