l M5S di Conte ha toccato il fondo. Adesso può risalire (magari con Landini) o scavare
23 Giugno 2022Nella crisi dei partiti nascono le scissioni e le false soluzioni
23 Giugno 2022
di Massimo Franco
Probabilmente la diaspora è appena agli inizi. E la reazione di Giuseppe Conte e del resto della nomenklatura grillina fa capire che il colpo della scissione di Luigi Di Maio e di oltre sessanta parlamentari è stato duro. Quanti nel M5S sostengono che la rottura era in incubazione da mesi non riducono ma sottolineano l’inadeguatezza dei vertici. Se davvero Conte, come ha affermato ieri, aveva intravisto l’epilogo traumatico, come mai non ha tentato di evitarlo? In realtà, sembra essere stato colto in contropiede.
Ma il tema non riguarda tanto e solo le dinamiche all’interno dei Cinque Stelle: se non per qualche tentazione delle frange più estremiste di scaricare il malessere sul governo di Mario Draghi. Scontento e frustrazione fanno ribollire un Movimento costretto a affrontare una situazione inedita: sebbene al momento sia stato ribadito l’appoggio a Palazzo Chigi pur perdendo ministri e sottosegretari. L’incognita è legata piuttosto all’effetto domino che l’involuzione del grillismo può avere sulle altre forze politiche.
Il Movimento, col suo 33 per cento dei voti, ambiva a essere il partito-perno di ogni maggioranza: politicamente e culturalmente. Da tempo non lo era più, e l’approdo di Draghi a Palazzo Chigi nel febbraio del 2021 aveva archiviato anche il simulacro della centralità rappresentata da Conte premier. Ma l’ipoteca del 2018 non è svanita, almeno simbolicamente: tanto da indurre il Pd di Enrico Letta a perseguire un asse elettorale con il M5S, sperando di ereditarne almeno una parte dei consensi.
A guardare bene, anche il rimpianto che alcuni settori del Partito democratico hanno coltivato a lungo per l’anno e mezzo di alleanza con i grillini era figlio della sindrome del 2018. Ma quella fase è sepolta. L’ha archiviata il più rapido e disinvolto dei capi del Movimento, Di Maio; pronto a capire che l’aggressione russa all’Ucraina è uno spartiacque. Ora si scruta l’orizzonte per cogliere eventuali increspature in altri partiti. Se Draghi e la guerra hanno portato alla scomposizione della prima forza del governo, non si possono escludere ulteriori smottamenti, di qui alle urne.
La collocazione atlantista e centrista del ministro degli Esteri, al di là del suo tasso di spregiudicatezza, certifica una nuova fase. E potrebbe indurre altri a rivedere alleanze e referenti: a sinistra e a destra. Gli schieramenti che si dovrebbero riproporre alle Politiche del 2023 mostrano un’unità artificiosa e stantia. E il M5S è stato la prima vittima perché più di altri si è attardato su uno schema passatista, senza riuscire a capire che Draghi non era una parentesi ma l’architetto di nuove regole di gioco. Il dramma non è di avere perso decine di parlamentari, ma di non chiedersi perché.