Era il 1934 quando Eileen O’Shaughnessy, una sconosciuta ma brillante ragazza di 29 anni cresciuta a South Shields, sulla fredda costa del Nord inglese, scrisse una poesia che intitolò End of the Century. 1984. La compose in occasione dei cinquant’anni della sua vecchia scuola femminile, nella vicina Sunderland, immaginando come sarebbe potuto diventare cinquant’anni dopo, nel 1984 appunto, il mondo che aveva conosciuto; come l’orrore dei terribili e inarrestabili eventi che stavano trasformando l’Europa avrebbe potuto cancellare la memoria dei poeti a lei cari, degli scrittori che l’avevano ispirata, di quella preziosa cultura classica che ormai veniva considerata soltanto “antiquata”. Era un mondo cupo, dominato dal controllo totale ma dove, tuttavia, le arti e le libertà sarebbero un giorno riuscite a risorgere dalle proprie ceneri come un’Araba Fenice.

LA POESIA

L’ascesa di Hitler in Germania, il consolidamento del regime di Mussolini in Italia, i favori che in Inghilterra raccoglieva l’Unione Britannica dei Fascisti di Mosley, il tentativo di un colpo di stato delle Leghe antiparlamentari in Francia e l’inizio delle repressioni degli oppositori russi da parte di Stalin avevano fatto scrivere alla colta studentessa di psicologia all’University College di Londra, già laureata in Lingua e Letteratura Inglese ad Oxford: «Nessun libro disturba la linea lucida/Perché gli studiosi abbronzati sintonizzano il loro pensiero/Alla Stazione Telepatica 9/ Da cui sanno proprio quello che dovrebbero:/ Le scienze utili, le arti/Di televendita e Spagnolo/Come registrato in parti occidentali; /Cremazione mentale/ che bandirà reliquie, filosofie e raffreddori».

La casa di Eileen O’Shaughnessy - FOTO ZORNETTA
La casa di Eileen O’Shaughnessy – FOTO ZORNETTA

Due anni dopo, questa ragazza della upper middle class inglese dalle radici irlandesi e dal fisico slanciato, carina senza essere appariscente con quei capelli corti, lo sguardo vispo, uno spiccato senso dell’umorismo e un talento eccezionale per lo studio – quasi certamente irrobustito dalla vicinanza con JRR Tolkien e C.S. Lewis, i suoi tutors – e per l’ideazione di trame anti-utopiche, sarebbe diventata la moglie di Eric Arthur Blair, un ex studente di Eton ed ex poliziotto nell’India britannica che una volta tornato in Inghilterra aveva pubblicato alcuni libri con lo pseudonimo di George Orwell.

Sono diversi gli studiosi convinti che sarebbe stata proprio la poesia in cui Eileen parla di telepatia, di controllo della mente, di «mondi morti perché possano vivere», insieme ai resoconti della Conferenza di Teheran, a dare allo scrittore, nel 1943, l’idea per comporre la sua opera più celebre: 1984.

Il romanzo, considerato tra i più importanti moniti di tutti i tempi contro i totalitarismi, verrà dato alle stampe dalla Secker & Warbur (una casa editrice britannica nota al tempo per le sue posizioni antinaziste e anticomuniste) nel 1949, quattro anni dopo la morte improvvisa di Eileen e pochi mesi prima di sposare, sul letto di morte, Sonia Brownell.

LUI, LEI, LE ALTRE

Anche nel precedente Animal Farm, pubblicato nel 1945, pare che Orwell debba molto a Eileen: «Se Animal Farm è un po’ satireggiante e poco orwelliano, lo si deve a lei», scrisse TR Fyvel, amico e biografo di Orwell. Fu infatti Pig, come la ragazza del North si firmava nelle lettere agli amici, a consigliare al marito di scrivere in una forma diversa dal saggio critico il libro contro Stalin a cui stava lavorando: in quel momento Stalin era molto popolare per via dell’aiuto che stava dando agli Alleati contro la Germania nazista e lei, prudentemente, gli suggerì di ricorrere alla forma dell’allegoria o del racconto satirico.

Come racconta Sylvia Topp nella sua illuminante biografia del 2020 Eileen. The making of George Orwell, quando Eileen ed Eric si conobbero, nel 1935 ad un party a Londra, per lo scrittore (al tempo commesso in una libreria) fu attrazione a prima vista.

Parlarono fino a notte fonda e il giorno dopo confessò all’amico baronetto Richard Rees: «È il tipo di ragazza che vorrei sposare». Era affascinato dalla sua intelligenza viva, dalla sua passione per i giochi di parole e da quel viso particolare, «da gatto», come l’aveva descritto.

Durante i nove mesi di corteggiamento – da lui vissuti tra incontri amorosi e lettere piene di desiderio sessuale nei confronti di altre donne – nacque Fiorirà l’Aspidistra.

Eric Bair-George Orwell era un tipo piuttosto alto di statura, aveva un volto così segnato da sembrare più vecchio dei suoi 33 anni e una salute cagionevole. Il suo stile, rammenta Topp, era quello di un gentiluomo stravagante e un po’ trasandato sebbene vestisse abiti cuciti su misura dal sarto di famiglia a Southwold, nel Suffolk. Era un tipo divertente, originale, timido; talvolta goffo e incapace di badare a sé stesso, era anche molto sensuale e affine ad un ideale di virilità di stampo “colonialista”.

Dopo il matrimonio, avvenuto nel 1936 a Wallington, nell’Hertfordshire, Eileen rinunciò ad ogni ambizione accademica per il marito, cambiò mille lavori per consentirgli di continuare a scrivere e accettò di lasciare Londra per vivere insieme in un minuscolo cottage con annesso emporio nelle campagne di Wallington. Erano divenuti autosufficienti in tutto, proprio come desiderava Orwell, ma solo grazie al duro lavoro di lei poiché dopo pochi mesi dal matrimonio lo scrittore aveva voluto partire per la Spagna per unirsi alle milizie che combattevano il fascismo. Eileen era rimasta perciò da sola a badare al negozio, agli animali e all’orto voluti dal marito, a tutte le sue faccende editoriali e ai tanti problemi che quella casa umida e vecchia dava ogni giorno. Finché nel 1937, stanca di aspettarlo, decise di partire, anche lei, per la Catalogna.

LA RELAZIONE

Senza Eileen e la sua intraprendenza, forse per Eric Arthur Blair sarebbe stato più difficile diventare il grande George Orwell che conosciamo. Forse, non sarebbe nemmeno riuscito a tornare a casa sano e salvo dal fronte spagnolo, dove aveva riportato una ferita alla gola, né, a quel punto, avrebbe mai composto il suo Omaggio alla Catalogna.

La loro unione era coincisa con il suo periodo più creativo ed Eileen era un punto fermo per lui: gli aveva fatto da dattilografa, correttrice di bozze, editor, portavoce e, considerata la sua conoscenza della psicologia umana, da suggeritrice dei personaggi che faceva vivere sulla carta; all’occorrenza si era improvvisata persino agente letteraria. Eileen, inoltre, gli aveva salvato più volte la vita: ancora in Spagna, evitandogli l’arresto per mano della polizia stalinista e in Inghilterra, quando rischiò di morire a causa della tubercolosi che lo stroncherà qualche anno più tardi, nel 1950. Lo aveva amato con devozione e nel giugno 1944, di fronte alle sue richieste, aveva accettato di adottare un bambino di poche settimane, Richard Horatio.

La tomba di Eileen O’Shaughnessy – FOTO ZORNETTA

LE ACCUSE A ORWELL

Nonostante ciò, la bestsellerista Anna Funder, autrice del controverso Wifedom: Mrs Orwell Invisible Life, pubblicato nel 2023, osserva come Mrs Blair (così aveva sempre voluto farsi chiamare) visse giorno dopo giorno nella trascuratezza del marito e nella sua ingratitudine.

Il suo nome non compare mai nelle opere di Orwell, tanto meno nell’Omaggio, dove è citata soltanto con la definizione «mia moglie». Dopo la sua morte, avvenuta nel marzo 1945 in un ospedale di Newcastle-Upon-Tyne, parlando con l’amico Stephen Spender lo scrittore non aveva trovato parole migliori di «non era un cattivo vecchio bastone» per ricordarla.

Anche a causa sua, perciò, Eileen è stata per molto tempo poco più che una immagine sfocata, «una sorta di buco nero nel cuore degli studi orwelliani», come ha riconosciuto DJ Taylor, lo scrittore delle biografie Orwell: The life (2003) e Orwell: The new life (2023).

«È morta a 39 anni, sotto i ferri per un’isterectomia totale dopo anni di atroci dolori […]. Suo figlio era con i parenti, suo marito a Parigi in visita ad Ernest Hemingway. Le lettere che gli aveva inviato […] rimasero senza risposta», scrive Funder, non risparmiando accuse di misoginia e di sessismo all’autore di 1984. Nonostante le polemiche che le sue affermazioni hanno sollevato, dell’”antifemminismo” di Orwell avevano già parlato, in passato, diversi altri autori: da Daphne Patai, che dopo averne analizzato i romanzi, i saggi e alcuni articoli giornalistici, era giunta alla conclusione che lo scrittore coltivasse «una tradizionale nozione di mascolinità completata da una misoginia generalizzata» allo storico e attivista socialista John Newsinger, per il quale Orwell era uno di quei «maschi socialisti che si sono opposti a ogni tipo di oppressione, tranne a quello delle donne», fino a Christopher Hitchens, che qualche anno prima di morire aveva osservato: «Ogni personaggio femminile rappresentato nei suoi romanzi è praticamente privo della minima traccia di capacità intellettuale o riflessiva».