A soli tre giorni di distanza dall’entrata (verbale) a gamba tesa del ceo Carlos Tavares, con replica stizzita anche della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni («dichiarazioni bizzarre»), ieri lo scontro tra il gruppo Stellantis e il governo di Roma si è arricchito di un altro episodio che si presta a diverse interpretazioni, molte delle quali aggiungeranno benzina al fuoco delle polemiche.
È successo che John Elkann, presidente nonché azionista di riferimento della multinazionale dell’auto, è sbarcato a Roma per una serie di incontri ad altissimo livello. A cominciare da quello al Quirinale con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Una visita a cui si sono aggiunti i colloqui con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, il comandante dei carabinieri Teo Luzi e l’ambasciatore degli Stati Uniti, Jack Markell.
Il tour nella capitale era in programma da tempo, si sono affrettati a precisare le fonti ufficiali. Impossibile però, non collegare questa offensiva diplomatica di Elkann alla lite in corso tra Stellantis e il governo. Il viaggio romano si è svolto mentre la premier era in viaggio a Tokyo. Nessun incontro a Palazzo Chigi, quindi. E qui va notato che la trasferta romana di Elkann è stata programmata proprio in una data in cui si sapeva da tempo che Giorgia Meloni sarebbe stata lontana per impegni istituzionali.
Da quando si è insediato il nuovo governo, nell’autunno del 2022, il presidente di Stellantis non ha mai fatto visita alla leader del governo. Con Mario Draghi era andata diversamente. C’era stato un primo incontro nell’aprile del 2021, poche settimane dopo l’arrivo del banchiere al vertice dell’esecutivo, un altro a maggio dello stesso anno, presente anche Tavares, e infine un terzo a gennaio del 2022. Certo, a parole, Elkann due giorni fa ha confermato l’impegno del gruppo nel tavolo automotive promosso dal ministero delle Imprese «per affrontare insieme le sfide della transizione energetiche».
Sono anche state smentite le voci di una possibile fusione tra Stellantis e Renault, innescate, anche queste, da alcune considerazioni di Tavares in una recente intervista sugli sviluppi futuri di mercato. Resta il fatto che la multinazionale si muove su una rotta contraria a quella immaginata dal governo, che punta ad aumentare la produzione di auto per garantire l’occupazione negli stabilimenti italiani della ex Fiat.
Tavares invece ha detto a chiare lettere che gli investimenti del gruppo nella Penisola sono condizionati agli incentivi pubblici per le auto elettriche. Senza impegni del governo in questa direzione le fabbriche di Mirafiori e Pomigliano sarebbero a rischio chiusura. Prima il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, e poi Meloni hanno reagito a quello che è stato accolto come una sorta di ricatto da parte di una multinazionale sempre più orientata a privilegiare mercati diversi da quello italiano per i propri investimenti. Per questo ieri i sindacati Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm hanno inviato una richiesta di incontro a Meloni «per aprire un tavolo di confronto sula situazione degli stabilimenti italiani».
Intanto, nella foga del botta e risposta, Urso nei giorni scorsi aveva anche rispolverato l’idea di un possibile ingresso dello Stato nel capitale del gruppo Stellantis, dove è già è presente il governo di Parigi con il 9,6 per cento circa dei diritti di voto. Se anche Roma decidesse di fare lo stesso, il costo dell’operazione supererebbe i 4 miliardi euro, una somma che di per sé rende improbabile l’affare, senza contare che i due maggiori azionisti della multinazionale, cioè Exor, la holding della famiglia Elkann-Agnelli, e la famiglia Peugeot, sembrano tutt’altro che intenzionati a dare luce verde al nuovo ipotetico azionista.
Sul tema il ministro Giorgetti aveva commentato con un ironico «Preferirei entrare in Ferrari». Frase che è servita a prendere le distanze dalle sparate del suo collega Urso e, implicitamente, dalla presidente del Consiglio. Una spaccatura ancora più evidente, dopo il viaggio di Elkann a Roma, che ha fatto visita al leghista Giorgetti proprio quando Meloni si trovava lontana dalla capitale.