il caso
Il Vaticano dopo silenzi, inoperatività e omissioni apre un’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, 15 anni, la figlia di un commesso della prefettura della casa pontificia, sparita il 22 giugno del 1983 dopo aver seguito una lezione di flauto traverso nel complesso della basilica di sant’Apollinare a Roma. Saranno sentiti come testimoni diversi cardinali, ex magistrati e dipendenti d’Oltretevere su questo giallo che dura da quarant’anni. La mossa è di certo clamorosa visto che è la prima volta che anche la giustizia di questa piccola monarchia investiga sulla probabile morte della sua cittadina più conosciuta al mondo.
Per decifrare la scelta bisogna tornare a settembre scorso quando Francesco è intervenuto con fermezza nel palazzo di Giustizia del piccolo Stato, accettando le dimissioni dell’allora promotore di Giustizia, l’equivalente del nostro procuratore capo, Gian Piero Milano, e promuovendo il vice, il penalista Alessandro Diddi. Non si è trattato di un mero valzer di nomine ma di un cambio che esprimeva un indirizzo.
Nelle prime settimane Diddi – alla guida diretta dell’autorità inquirente – ha riordinato i fascicoli, trovandone diversi stagnanti in una sorta di purgatorio investigativo. Inchieste che né decollavano né venivano archiviate. Tra queste, le denunce che i familiari, con il difensore Laura Sgrò, presentano dal 2018, rimanendo però inascoltati. A questo punto è intervenuto Francesco che sulla giovane è stato chiaro e inequivocabile: «Fate tutto quello che si può fare per capire quello che è successo a questa povera ragazza. Se ci sono responsabilità, siano accertate».
L’input ha subito un’ulteriore accelerazione dopo alcuni fatti in sequenza: la morte di Benedetto XVI, i rifermenti di monsignor Georg Ganswein, il segretario privato del papa emerito, alla vicenda di Emanuela sui media proprio il giorno dei funerali, la conferma dell’esistenza di uno specifico dossier sull’Orlandi che nei primi mesi del 2012 era sulla scrivania di monsignor Ganswein, come mi raccontava per averlo visto con i suoi occhi Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa emerito e come riportato su queste colonne.
A questo punto c’è da capire come si muoverà Diddi. Innanzitutto, andrà ad approfondire le richieste dei familiari nelle loro denunce a iniziare dalla richiesta di sentire alcuni possibili testimoni. Tra i primi potrebbe esserci anche monsignor Ganswein che viene più volte citato negli esposti della Sgrò e dei parenti di Emanuela. Una lista lunga ma necessariamente incompleta. Infatti, diversi di questi soggetti– indicati negli esposti del 2018 e 2019 e successive integrazioni – sono però nel frattempo deceduti, come i cardinali Eduardo Martinez Somalo, Achille Silvestrini e l’ex segretario di Stato Angelo Sodano. Sono invece in vita Tarcisio Bertone e Giovanni Battista Re. Quest’ultimo, in particolare quando la ragazza sparisce era assessore per gli affari generali della segreteria di Stato, ruolo di rilievo nello scacchiere curiale. Un altro soggetto che dovrebbe essere sentito è il controverso don Pietro Vergari, all’epoca rettore della basilica di sant’Apollinare, già indagato dalla procura di Roma per il sequestro della giovane. Questo sacerdote è una figura chiave per contestualizzare la presenza della tomba del presunto cassiere della banda della Magliana Renato De Pedis nella cripta della chiesa. De Pedis e Vergari erano amici tanto che fu lui a perorare la sepoltura dell’uomo, assassinato da incensurato, all’allora vicario di Roma, cardinale Ugo Poletti. E così De Pedis venne sepolto tra musicisti, devoti cardinali e uomini pii. A Vergari – ad esempio – sarebbe interessante chiedere chi chiamò su un’utenza vaticana il 19 maggio del 2012, in piena inchiesta Orlandi da parte della procura di Roma, apostrofandolo come “eccellenza”. È una telefonata inquietante perché questo alto prelato avvisò l’indagato Vergari, assai agitato e preoccupato, addirittura che aveva il telefono sotto controllo. Eccone uno stralcio:
Vergari (V.): Eccellenza sono don Piero…che devo fare….
Eccellenza (E.): No… (lo interrompe bruscamente) non si rivolga a me don Piero perché… lei stia …stia quieto… stia tranquillo… io gliel’ho detto fin da principio….(…).
V.: Io sto tranquillissimo perché guardi… le dico la verità… io quella persona non l’ho mai vista, non l’ho mai conosciuta….
E.:(lo interrompe nuovamente) Sì ma lei stia tranquillo…
V.: Sì
E.: Come le ho sempre detto, perché tutte le volte che lei è andato di fuori poi è successo quello che è successo…
E.: Stia tranquillo adesso!
E.: Non ha bisogno…
V.: Sì e senta, mi chiamano…telefonate…e…e…io non rispondo a nessuno…se mi chiamano i giornalisti che vogliono sapere….
E.: Guardi che il suo telefono è sotto controllo!…
V.: Sì…eh….(…)
E.: Stia in silenzio e basta!.
V.: La ringrazio
E.: Basta che i superiori siano avvertiti.
V.: Sì, sì, sì, lo sanno… io immagino questo perché…
E.: (interrompe, ha fretta di chiudere la conversazione): Arrivederci!
L’indagine scioglierà davvero il giallo sul possibile ruolo del vaticano o di persone di Chiesa coinvolte in questa vicenda? È ancora presto per dirlo. Bisognerà capire se riemergeranno frammenti di verità e quali saranno: «In tutti questi anni di indagini – mi raccontava l’allora titolare dell’inchiesta italiana, all’epoca il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo – ho subito sei, sette tentativi di depistaggio». Un circo di depistatori, mestatori, ex agenti dei servizi deviati, faccendieri e bassa manovalanza criminale per creare una cortina fumogena invalicabile tra noi e la verità. Ecco, speriamo di non assistere ad altre manipolazioni. Capire chi sequestrò la ragazza, se venne abusata nella basilica, chi la uccise. E poi, il ruolo della banda della Magliana e i rapporti con lo Ior e, soprattutto, se l’adolescente finì in un’orgia con prelati e innominabili o se il sequestro doveva servire come strumento di ricatto sui forzieri di san Pietro. Ma, soprattutto, la speranza è che mamma Maria, le sorelle, il fratello Pietro, la possano piangere e pregare dopo degna sepoltura.