Sostiene Enrico Mentana che adesso, solo adesso, è finita la Seconda Repubblica. Proprio oggi, con i funerali solenni di una persona che nel bene e nel male l’ha tenuta insieme. «Viviamo in un’epoca in cui non ci sono state figure di questo spessore mancate nel pieno dell’attualità – dice il direttore del Tg La 7 -. Gli ultimi 30 anni in Italia sono stati un referendum pro o contro Silvio Berlusconi. Ha inventato il bipolarismo. Era al contempo, per i suoi pregi e i suoi difetti, fortissimo e divisivo». E quindi, «credo debbano valere le parole del presidente della Repubblica: se Sergio Mattarella gli tributa quella descrizione, se è il primo a partecipare ai funerali insieme a capi di Stato e di governo esteri, che senso hanno i distinguo?».
Il lutto nazionale non aveva mai riguardato la morte di un ex premier. Le Camere resteranno chiuse quasi una settimana. Come fosse un re.
«Lo dico da persona che non lo ha mai votato, ma non si può disconoscere chi per 9 anni è stato presidente del Consiglio in quattro diversi governi, dopo aver regolarmente vinto le elezioni, a differenza di Renzi, Letta, Gentiloni, Conte. È chiaro che è divisivo per questo motivo».
E per quei “tanti difetti”.
«L’antiberlusconismo è stato il grande male della sinistra italiana. Si parla tanto di egemonia culturale, e invece c’è stata una sorta di sudditanza davanti a un fenomeno mai capito davvero».
Pier Ferdinando Casini ha detto che oltre a essere stato capace di aggregare la destra, Berlusconi è stato l’unico capace di unire la sinistra: contro di lui.
«Il campo che è stato il grande protagonista della seconda metà del ‘900, dal 1994 in poi ha saputo descriversi solo come “diverso da Berlusconi”. Un chiaro segnale della sua crisi».
Una sindrome di cui il centrosinistra soffre ancora oggi?
«Penso che tante forze della sinistra, tanti muscoli della sinistra, siano stati persi in questa battaglia piuttosto che nel cercare contenuti su cui farsi votare. Sono passati 9 mesi dal 25 settembre: non sanno ancora spiegare perché hanno perso. Perché non hanno più una presenza sovrastante nelle periferie cui dicono di tenere. Perché non sono più tra gli operai e governano le città solo attraverso l’egemonia nei centri storici».
Non è che il centrosinistra abbia vissuto di solo anti-berlusconismo, però. Anzi, ci è sceso a patti, ci ha governato insieme.
«Perché sennò non governava. Il vero problema del Pd è che dopo non aver vinto le elezioni del 2013 ha guidato tre diversi governi, Letta, Renzi, Gentiloni. E quando gli è capitato di stare all’opposizione durante il Conte uno, un anno e due mesi, sembrava – anche quello – un lutto nazionale».
Elly Schlein andrà al funerale, Giuseppe Conte no.
«Se ci va il presidente della Repubblica bisogna spiegare perché uno non ci va. Mi pare sia come sulle armi all’Ucraina, un gioco di posizionamenti».
Ma del centrodestra cosa sarà? Forza Italia era Berlusconi.
«Forza Italia ha lo stesso problema della sinistra, ma al contrario. È vissuta di berlusconismo. Non è mai esistito un partito monarchico senza la monarchia. Il gaullismo senza De Gaulle ha resistito, ma poi ha desistito. Il franchismo senza Franco ha fatto lo stesso».
Insomma, sparirà.
«Quando un partito nasce su una figura forte non gli può sopravvivere. È quasi una legge, a meno che non trovi un’altra figura fortissima».
Ne vede all’orizzonte?
«No. Non sarà un caso che Berlusconi non abbia mai trovato un delfino».
Forse non lo ha mai voluto.
«Il suo partito era fondato sul culto laico della sua persona. Un culto scanzonato eh, lui era il primo a renderlo tale, ma come dicono gli inglesi: right or wrong my leader. Nel bene e nel male, non si può pensare diventi improvvisamente il partito di un altro».
E l’elettorato?
«Le ultime elezioni hanno dimostrato che in quell’area i voti si spostano da una parte all’altra senza troppi formalismi. Trent’anni fa quando è nata l’alleanza tra Berlusconi, Bossi, Fini, Casini, Mastella, è stata descritta come un traballante patto di potere. Ma a governare il Paese oggi sono i figli politici di quella stessa alleanza. Più forti della macchina da guerra di Achille Occhetto, che invece è venuta meno».
Lo sdoganamento della destra è stato un merito di Berlusconi o una sua colpa?
«Un demerito della sinistra, che ha smesso di elaborare. Ma adesso, venuto meno il chiodo cui era appesa la Seconda Repubblica, serve un nuovo asse di equilibrio. Sarà Giorgia Meloni? Sarà l’anti-melonismo? Abbiamo già visto che il neo-antifascismo militante non è vincente. Serve identitariamente per essere diversi, ma non porta nulla di più. Bisogna mettere le mani nell’acqua bollente».
Qual è il suo primo ricordo di Silvio Berlusconi?
«1991. Mi volle incontrare per offrirmi di creare il Tg5. Dissi subito sì».
Lasciò la Rai di allora senza esitazioni?
«A 36 anni avevo diretto il Tg1, ma nel giro di lottizzazione non servivo più. Ero vice al Tg2. Andavo in redazione a prendere i giornali. Era passata la legge Mammì e a lui serviva un telegiornale. Non so perché scelse me, forse aveva fatto dei sondaggi».
E lei si fidò subito.
«Non c’erano ragioni per non farlo».
Fu un successo, ma ci furono anche frizioni.
«Quando fece l’endorsement per Gianfranco Fini a Roma, era il 1993 io feci un editoriale dicendo che doveva essere chiaro che andavamo avanti per la nostra strada, senza farci condizionare».
Poi gli consigliò di non candidarsi.
«Io, Giorgio Gori che era direttore di Canale 5, Gianni Letta, Confalonieri. Tutti gli abbiamo chiesto: che senso ha la discesa in politica?».
Ne aveva?
«Dal suo punto di vista, per quello che ha fatto, ha cambiato la sua vita e anche quella di chi l’ha seguito. Vista l’avventura che ne è seguita, culminata con i funerali di Stato e il lutto nazionale, non mi pare un fallimento. Nel bene e nel male. Perché c’è tanto bene e tanto male. Il primo lo negano i detrattori, il secondo lo negano i suoi».
Divisivo, appunto.
«Adesso sono orfani allo stesso modo i berlusconiani e gli antiberlusconiani».
Lei a un certo punto da quel Tg che aveva fondato andò via.
«Ho continuato a farlo come mi pareva, ma ovviamente a un certo punto la spinta politica a cambiarlo fu preponderante. Confalonieri disse: devo mettere uno dei nostri. E arrivò Carlo Rossella. Io dissi benissimo, dopo 12 anni resto qui e provo a fare un’altra cosa».
Matrix.
«Andò avanti tre anni e mezzo, ma le tensioni erano sempre più forti, l’ultima sul caso di Eluana Englaro. Parliamo del 2009, un’era geologica fa, si entrava in una fase dura».
Andò via, ma restando in buoni rapporti.
«Con Berlusconi era impossibile non farlo. Era capace di fare pressioni per mandarti via e poi dirti: avrei voluto che restasse. Ha sempre preservato i rapporti umani».
Secondo lei è vero che più delle inchieste giudiziarie sulla mafia o la corruzione, lo ha danneggiato la lettera di Veronica Lario, le donne e l’uso che ne faceva?
«Parliamo di un personaggio fuori scala. Quanti politici hanno l’amante? La doppia o la tripla vita? Vale per ogni categoria. Il problema di Berlusconi è stata la sua grandeur, che in positivo significava generosità, in negativo voracità».
L’enorme potere gli faceva credere che tutto fosse consentito?
«Era “incontinente”. Nel circondarsi di persone, nel parlare, non aveva la percezione del pericolo. Un’incontinenza verbale, quante volte ne siamo stati testimoni, ma anche di comportamenti. Tecnicamente, se tradisci tua moglie con una o 100 donne si tratta sempre di un tradimento. Ma su questo è stato messo su uno show».
È che la dimensione privata scompare, se poi porti donne selezionate per la bellezza al Parlamento europeo o affidi loro ruoli politici. Questo lo ha danneggiato anche a livello internazionale, gli ha fatto perdere credibilità.
«Ma lo ha scalfito davvero? Se ne va a 86 anni con tutti gli onori. Muore da senatore. Non ci sarà la bandiera a mezz’asta nell’università guidata da Tomaso Montanari, ma c’è al Parlamento europeo. Ne abbiamo fatto una questione antropologica, io stesso ho mandato in onda racconti che non avevano alcuna rilevanza penale, erano solo boccacceschi. Ne abbiamo fatto la soap opera della Seconda Repubblica. Ora è morto Berlusconi, è morta la Seconda Repubblica, l’antiberlusconismo non funziona ed è perdente. L’unica volta in cui la sinistra ha vinto, nel 2006, lo ha fatto per 24mila voti presi all’estero. Da oggi deve pensare a cosa fare per vincere, non per far perdere l’altro. Da oggi, non ci sono più scuse».