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14 Gennaio 2024TEOLOGIA
Torna, in un unico volume di oltre mille pagine, il “Diario” del frate e pensatore francese Si spese per l’ecumenismo, il rinnovamento della Chiesa e un ruolo decisionale del laicato Esultò per la “Nostra Aetate”, ma lamentò il mancato coinvolgimento dei grandi biblisti gesuiti e domenicani. E fu cauto sul «radicalismo riformatore» espresso da Rahner e Ratzinger
«L’aspetto più importante del Concilio non è quello di far votare dei testi, bensì quello di creare uno spirito e una coscienza nuova, e questo richiede tempo». È quanto scrive e annota nel suo diario personale nel febbraio del 1964, quasi un anno prima della chiusura del Vaticano II da parte di Paolo VI, il teologo domenicano francese Yves Marie Congar (19041995). Un’affermazione che appare oggi quasi un testamento spirituale e un segno del febbrile lavoro e dell’impegno, anche in chiave ecumenica, a cui fu sottoposto – «schiacciato » (così confiderà nelle sue memorie) padre Congar, come perito prima della Commissione preparatoria del Concilio e poi durante le quattro sessioni del Vaticano II (19621965). Per questo grande pensatore – «il sanguigno frate e teologo delle Ardenne» come lo ha definito il suo discepolo Hervé Legrand – il Vaticano II rappresentò non solo un appuntamento con la storia ma anche un’occasione per un autentico «rinnovamento dell’ecclesiologia, della Tradizione e dell’ecumenismo» in seno alla Chiesa cattolica. Ora la casa editrice San Paolo ha voluto riproporre in forma integrale (a quasi vent’anni dalla prima edizione italiana nel 2005, allora divisa in due tomi) la ripubblicazione del suo monumentale volume Diario del Concilio 1960-1966 (pagine 1.064, euro 59,00). Una pubblicazione che non solo rappresenta il manifesto conciliare di Congar ma appare quasi il contraltare parallelo, in un certo senso “sinottico” di quanto scrisse nei suoi Quaderni del Concilio ( Jaca Book, 2009) il teologo gesuita di Cambrai Henri de Lubac (1896-1991).
È certamente singolare che le testimonianze conciliari e molto romane sia di Congar sia di De Lubac, – entrambi furono creati cardinali per i loro meriti teologici da Giovanni Paolo II che partecipò al Vaticano II come vescovo ausiliare di Cracovia – venissero pubblicate, dopo la loro morte, in Francia per Les Éditions du Cerf. Gli scritti di Congar permettono soprattutto al lettore di vedere il sovraccarico di lavoro a cui fu sottoposto il domenicano francese costretto spesso a spostarsi in autobus, in macchina o a piedi per essere puntuale ai suoi incontri di lavoro in Vaticano; dentro a queste pagine affiorano però anche i tanti retroscena, soprattutto per la stesura degli “schemi preparatori” di tanti documenti conciliari di cui fu proprio protagonista indiretto il teologo di Sedan, a partire dalla Costituzione pastorale Gaudium et spes. Per alcuni osservatori il ruolo di Congar al Vaticano II fu quello di «un esploratore », per altri fu decisivo. Si scopre da questa pubblicazione di quanto fosse importante per Congar un autentico rinnovamento dell’ecclesiologia dopo il Vaticano II e soprattutto di quanto avesse a cuore che il laicato cominciasse ad avere un ruolo decisionale e non più decorativo (come lo era ai tempi di Pio XII) nel governo della Chiesa. Non sorprende scoprire da questo volume quanto Congar – che fu uno dei padri nobili della Nouvelle théologie assieme al «fidato amico» De Lubac, a Daniélou e al confratello domenicano Marie Dominique Chenu – tenesse in grande considerazione l’opinione della “minoranza” conciliare e nutrisse, per esempio, grande attenzione per il teologo di fiducia del cardinale Alfredo Ottaviani, il gesuita olandese Sebastian Tromp. Emerge da queste annotazioni congariane la stima personale di Giovanni XXIII e di Paolo VI (e di riflesso del teologo personale di papa Montini l’ambrosiano Carlo Colombo) per le opere teologiche, scritte dal frate domenicano.
Tanti sono i nomi a cui l’autore di questo Diario aggiunge delle note di considerazione. Tra questi monsignor Gérard Philips, uno dei principali estensori della Costituzione dogmatica Lumen Gentium; l’italiano, e futuro monaco, Giuseppe Dossetti e Gustave Martelet, il gesuita francese e tra gli ispiratori del testo finale dell’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI. Significative sono le parole che riserva al cardinale gesuita Agostino Bea, già confessore di Pio XII e presidente del segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani: « In lui vi è la forza della Parola della Scrittura». Ma Congar non nasconde in questa sua opera monumentale e molto biografica (trascritta e rivista dalla sua fidata segretaria Delphine Guillou) le sue amarezze- lui che è un profondo assertore di un « vero ritorno alle fonti della Bibbia» – anche per il mancato coinvolgimento nella stesura dei documenti conciliari, dei grandi esegeti gesuiti e domenicani, che insegnavano rispettivamente al Pontificio Istituto Biblico di Roma e all’École biblique di Gerusalemme. Ma questo testo ci regala qualcosa di più. Si scopre, per esempio che, pur stimando le competenze di Karl Rahner e di Joseph Ratzinger (il futuro Benedetto XVI) – basti pensare agli schemi redatti dai due periti sulle fonti della Rivelazione durante il Vaticano II – si mostrerà sempre disponibile a raggiungere compromessi rispetto al «radicalismo riformatore » (come ben spiega Éric Mahieu nell’introduzione a questo bel libro) dei due colleghi tedeschi. Da questi scritti viene a galla l’entusiasmo con cui padre Congar saluta nel 1965 la Dichiarazione Nostra Aetate sulle religioni non cristiane (in particolare l’ebraismo). O, ancora, da questi testi così personali e quasi intimi (forse anche per questo volle che fossero pubblicati post mortem) spunta il sogno, accarezzato anche da papa Montini, che dopo il Concilio, venga istituito un insegnamento negli atenei cattolici, dedicato alla «categoria della storia della salvezza». A questo proposito scrive, dopo un incontro con Paolo VI: «Sarebbe molto importante istituire, in ogni centro universitario cattolico, una cattedra di storia della salvezza, per studiare l’economia divina nella storia del popolo di Dio». In questa pubblicazione compaiono i punti forti dell’ecclesiologia di Congar: l’importanza che diede, e per cui profuse buona parte della sua ricerca teologico sistematica postconciliare, affinché venisse ridefinito in modo innovativo e più nel segno dei tempi e dell’«aggiornamento» il ruolo del collegio dei vescovi in comunione con il Successore di Pietro. Da queste pagine si scopre soprattutto l’amore per Gesù di Congar e il suo sentirsi figlio della Chiesa nonostante tutto.