La nuova National Security Strategy degli Stati Uniti segna un passaggio significativo nelle relazioni tra Washington e l’Europa. Il documento dell’amministrazione Trump propone una visione del nostro continente improntata a un forte pessimismo culturale, descrivendolo come un sistema in rapido deterioramento, minacciato da trasformazioni identitarie e istituzionali che ne comprometterebbero la continuità entro pochi decenni. È un linguaggio che rompe con la tradizione atlantica e richiede una riflessione politica attenta.
Al centro della strategia americana c’è l’idea che questioni reali — pressioni migratorie, crisi demografica, sfiducia nelle istituzioni — non siano semplici sfide da governare, ma segnali di una crisi profonda. Questa lettura si sovrappone al vocabolario dei movimenti nazionalisti europei, al punto da indicare la loro crescita come un fattore positivo per la “rinascita” dell’Occidente. È un cambio di postura che rischia di incidere sugli equilibri interni dell’Unione, alimentando divisioni già presenti.
La risposta europea non può oscillare tra la difesa impulsiva e l’accettazione passiva. Occorre riconoscere che la diagnosi statunitense individua aspetti problematici, ma li inserisce in una narrazione identitaria e conflittuale che non coincide con gli interessi del continente. L’Europa ha bisogno di affrontare le proprie vulnerabilità senza prestarsi a scenari che riducono la complessità delle trasformazioni in atto.
Il riferimento alla guerra in Ucraina conferma questa impostazione. Gli Stati Uniti ribadiscono l’obiettivo di una stabilità con Mosca, ma criticano alcuni governi europei per aspettative ritenute “irrealistiche” sull’esito del conflitto. È una posizione che si intreccia con i timori diffusi in Europa riguardo alla possibilità di un compromesso a scapito di Kyiv. Questo rende evidente che la convergenza strategica tra le due sponde dell’Atlantico non può più essere considerata automatica.
Anche il passaggio sulla NATO apre un fronte delicato. La richiesta di superare l’idea di un’alleanza in espansione contrasta con il principio che ha garantito sicurezza ai paesi dell’Europa centro-orientale. Se questa linea dovesse consolidarsi, l’Unione sarà chiamata a ripensare il proprio ruolo nella difesa comune e a investire in modo più deciso nelle proprie capacità.
Di fronte a questo scenario, l’Europa deve rafforzare la propria autonomia strategica. Non come gesto di distacco, ma come condizione per un rapporto equilibrato con gli Stati Uniti. Autonomia significa governare le transizioni demografica, energetica e tecnologica, assumersi responsabilità dirette in materia di sicurezza e affermare un modello politico capace di reagire alle narrative polarizzanti che provengono dall’esterno.
Il messaggio implicito del documento americano è chiaro: se l’Europa non definisce il proprio futuro, altri lo faranno per lei. Sta a noi trasformare questa sfida in un’occasione per rilanciare un progetto europeo più consapevole di sé, delle proprie fragilità e delle sue potenzialità.
The document also echoes the racist “
great replacement” conspiracy theory, which asserts that elites are plotting to diminish the voting power of white Europeans by opening their countries’ doors to immigration from the African continent, specifically Muslim countries. “Over the long term, it is more than plausible that within a few decades at the latest, certain NATO members will become majority non-European,” the document states.