Gli inquirenti ipotizzano cooptazioni dentro il “ministero degli Esteri” “Attentato alla sicurezza, in pericolo l’equilibrio della democrazia”
di Luca De Vito , ( inviato) , Giuliano Foschini e Claudio Tito (corrispondente)BRUXELLES —
«La cricca, oltre ad una azione di lobby legittima, agiva anche con la cooptazione di europarlamentari, assistenti parlamentari, funzionari del Seae e dei vertici sindacali». Eccolo il salto di qualità nel Qatargate. Nell’inchiesta della Procura belga non compare solo il Parlamento europeo, i collaboratori degli eurodeputati e i sindacalisti dell’associazione europea e mondiale. Ma spunta la Commissione europea. Il governo dell’Ue. Perché il Seae è il servizio europeo per l’azione esterna. Il Ministero degli Esteri dell’Unione, guidato dallo spagnolo Josep Borrell.
In un allegato degli atti con cui i magistrati di Bruxelles motivano gli arresti già compiuti, infatti, spunta una relazione dei servizi segreti del Belgio, il Vsse. E il riferimento agli uffici della Commissione sono espliciti. Il faro della magistratura dunque illumina anche Palazzo Berlaymont, o più precisamente gli uffici che si trovano a Place Schuman. Nelle carte della procura, non si parla ancora di indagati. Ma il sospetto che «funzionari del Seae» siano stati coinvolti nelle operazioni sotto inchiesta e nel reclutamento voluto da Marocco e Qatar non è più una semplice illazione, bensì una linea di lavoro segnalata ufficialmente. E il coinvolgimento dell’ex Commissario europeo Dimitri Avramopoulos, greco come Kaili, è stato solo una spia di un allarme ben più ampio. Avramopoulos dovrà dare spiegazioni alla Commissione per lo “stipendio” ricevuto dalla Ong di Panzeri Fight Impunity. Il politico di Atene ha già precisato di aver ricevuto una autorizzazione scritta da Palazzo Berlaymont e denuncia «un complotto italiano» per favorire Luigi Di Maio nella corsa come inviato speciale Ue per il Golfo Persico. Ma il punto ormai sembra un altro: non la posizione di un ex commissario, ma le infiltrazioni dentro la Commissione.
Del resto, il trio composto da Antonio Panzeri, Andrea Cozzolino e Francesco Giorgi aveva bisogno di intervenire a favore di Doha e Rabat nel modo più ampio possibile all’interno delle «istituzioni europee». Anzi, nei mandati di arresto la polizia del Belgio più volte sottolinea come le accuse di corruzione, riciclaggio e organizzazione criminale siano inserite in un quadro molto più vasto. Quello di «attentato alla sicurezza pubblica» e di «pericolo per l’equilibrio della democrazia». Un timore, insomma, che va oltre i comuni reati e che tracima nella sicurezza nazionale e dell’Unione europea.
Anche perché la “cricca” e i loro fiancheggiatori, secondo gli inquirenti e secondo i rapporti dell’intelligence belga, avevano obiettivi che per loro natura rischiavano di incrinare la sicurezza dell’Ue e dei singoli stati membri. «Il fine ultimo — si legge nelle motivazioni — è influenzare le decisioni delle Istituzioni europee ». Ottenendo ovviamente incambio «ingenti somme di denaro» che vengono quantificati in «diverno milioni di euro». «Questo era lo scopo dei tre italiani».
Ma nel concreto le pressioni a cosa puntavano? Il Marocco e il Qatar in realtà avevano obiettivi diversi. Che a volte si sovrapponevano. «Per il Marocco — spiegano gli 007 belgi — l’Ue è un primario partner commerciale, la sua sicurezza energetica dipende in parte dall’Europa. In gioco c’è l’accordo di libero scambio sulla pesca e l’agricoltura. La questione migranti e la linea di Bruxelles sul Sahara Occidentale» che il Marocco ha occupato e che al momento non viene riconosciuto come territorio marocchino». Per Doha, invece, l’aspetto prioritario consisteva nel «migliorare l’immagine in relazione ai diritti dei lavoratori ». In particolare quelli impegnati nella costruzione degli stadi di calcio in vista dei campionati mondiali appena terminati.
Se queste, allora, erano le finalità, i risultati concreti ottenuti sono effettivamente strabilianti e imbarazzanti. Gli inquirenti li elencano con una freddezza che raggela: «Dar vita a diverse risoluzioni parlamentari » per frastagliare il frontedei contrari ai due Paesi. Ottenere «diverse dichiarazioni pubbliche» per impedire che il giudizio fosse unitario. «Nominare candidati al premio Sakharov», ossia il principale riconoscimento dell’Ue che in passato è stato assegnato a personaggi come Nelson Mandela e quest’anno al popolo ucraino. «Alterare il rapporto annuale sulla politica estera». E poi gli aspetti più inquietanti: «Tentare di collocare alla presidenza o alla vicepresidenza delle commissioni parlamentari, come la Darp (Delegazione per i rapporti con la penisola arabica), la Afet (Affari esteri) e la Droi (diritti) persone » gradite. Cozzolino, ad esempio, era uno di questi. O nella commissione che ha indagato sullo scandalo Pegasus. Ma soprattutto ha ottenuto il «risultato» di fare eleggere la greca Eva Kaili alla vicepresidenza del Parlamento europeo. «Panzeri e Cozzolino — spiegano gli inquirenti — segretamente interferivano con il lavoro del Parlamento al fine di influenzare le scelte. Anche per la Delegazione sul Maghreb».
Non solo. La “cricca”, non riceveva in contropartita esclusivamente denaro e «regali» per uso privato. Nelle indagini emerge quello che in Italia verrebbe definito un vero e proprio “voto di scambio”. Le loro interferenze erano attuate, quando serviva, «anche in cambio del sostegno elettorale». In particolare del Marocco, che elargiva «somme consistenti» per raggiungere traguardiin occasione di elezioni. Insomma, una distorsione delle procedure democratiche. E il tutto avveniva secondo uno schema collaudato. Con un «linguaggio in codice». Perché in questa vicenda di malaffare e corruzione c’è anche una pagina da “Spy-Story”.