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24 Giugno 2024La crisi delle città soprattutto quelle d’arte e dei loro centri storici a cosa è dovuta? Alla mercificazione propria del liberismo dominante? Alla responsabilità della politica, sia essa di destra che di sinistra che si è assoggetta acriticamente al potere economico? All’incapacità delle amministrazioni di comprendere le trasformazioni in atto e contrapporre dialetticamente una visione di medio lungo periodo? Al silenzio degli apparati pubblici? A tutto questo insieme di cose? E ancora una volta bisogna ricordare P.P.Pasolini e la sua attenzione a cosa si nasconde dietro alla “civilizzazione” a scapito della “natura”. (Pierluigi Piccini)
Fare cultura, fare urbanistica. Verso nuovi paradigmi dei servizi e del welfare
Quella che le società contemporanee stanno vivendo è una fase di passaggio epocale. Con balzi più o meno ampi e velocità spesso inaspettate, si salta da un paradigma a un altro. Il vecchio e il nuovo si susseguono secondo processi logici tutt’altro che lineari. Ieri era il mondo del fordismo, di un modo di organizzazione della produzione industriale informato a soluzione logiche per ridurre costi di trasporto e comunicazione, per produrre prodotti standardizzati di massa e favorire la transizione dalla civiltà contadina a quella delle macchine; domani è il mondo digitale, che azzerando tendenzialmente costi di trasporto e comunicazione, traghetta dalla necessità di prodotti standardizzati di massa alla produzione personalizzata di massa, affermando nuove logiche e mainstream.
In questa transizione, all’urbanistica servono strumenti e metodi per leggere e decodificare il cambiamento e per riconvertire le vecchie piattaforme produttive urbane a vantaggio del buon governo del territorio, per una società inclusiva, solidale e multiculturale, dove clima, salute, povertà, lavoro e opportunità sono le priorità d’azione espresse dai cittadini (Eurobarometro, settembre 2021).
Entro il quadro sopra abbozzato, cosa sono oggi i luoghi della cultura se non strumenti posti a garanzia dei diritti costituzionali di eguaglianza sociale e della democrazia? Ambienti deputati ad una crescita personale attraverso numerose forme di espressioni artistiche che utilizzano proprie parole, lingue, gesti, immagini, segni. E dove sperimentare la condivisione di esperienze, saperi, emozioni?
Se ambiente, qualità urbana e benessere delle comunità sono i temi su cui si gioca la sfida della città contemporanea, è legittimo (anzi, necessario) pensare che le attività culturali possano assumere una valenza sociale ed essere considerate come una forma di welfare, inclusiva e abilitante, alla quale possono contribuire soggetti e attori con provenienze, storie e risorse differenti.
E in questa prospettiva la pianificazione urbanistica può fornire un contributo facendo della cultura un contenuto esplicito di progetti, azioni e politiche dello spazio pubblico. Fermo restando che per conseguire la qualità dello spazio pubblico è necessario costruire sinergie e complementarietà, perché lo spazio pubblico non è tutto uguale e che le declinazioni che può assumere sono multiple e non possono non essere prese in considerazione quando si costruiscono piani, progetti, politiche per il suo trattamento.
Muovendoci nel perimetro della disciplina urbanistica, lo spazio pubblico è una categoria che richiede, preliminarmente, di essere aggettivata in relazione a tre fattori:
la natura patrimoniale del suolo o del bene (pubblica o privata di uso pubblico);
la posizione e localizzazione nella città (centrale o marginale), in relazione al potenziale che i tessuti insediati a contorno assumo, a scala urbana e territoriale, per attivarne l’utilizzo e la fruizione;
il tipo di destinazione d’uso (culturale, ricreativa, sportiva, sociale, sanitaria, per la mobilità, ecologica).
Trasversalmente a queste classificazioni, tali spazi si dividono in due macro categorie: aperti (naturali, semi-naturali, attrezzati) e costruiti.
Infine, un’ultima evidenza è bene ricordare: alcuni spazi pubblici sono anche standard urbanistici (e cioè un ’diritto’) e in relazione a ciò è necessario domandarsi quale possa essere il ruolo degli standard per un progetto consapevole di città pubblica e welfare urbano, in rapporto alla condiziona contemporanea dello stato dell’ambiente, dell’evoluzione della domanda sociale e del concetto stesso di qualità insediativa e vivibilità urbana.
Il profilo multifunzionale degli spazi pubblici (in particola di quelli a standard) necessita di essere enfatizzato e valorizzato poiché ne potenzia il carattere di inclusività, che diventa espressione anche della sua qualità. In questo senso, molte pratiche e modi dell’abitare evidenziano come sia proprio il tratto multifunzionale, dunque flessibile, degli spazi pubblici a decretarne l’efficacia dal punto di vista degli utenti. Ne è tipico esempio la piazza/agorà, che nella radice greca del verbo da cui deriva (radunare, raccogliere) disvela i principi di inclusione e pluralità per cui è stata ideata e progettata.
Dunque il successo di uno spazio pubblico è tanto maggiore quanto più esso è in grado di intercettare un ampio ventaglio di attese e bisogni dei cittadini.
Occorre allora domandarsi cosa renda i ‘luoghi della cultura’ – intesi come luoghi destinati alla produzione e fruizione di cultura – degli ‘spazi pubblici’, cioè delle infrastrutture per la vita collettiva a supporto delle attività della sfera pubblica.
Sembra ineludibile che ciò derivi dall’incrocio tra pratiche sociali, disponibilità di spazi e politiche pubbliche ed in tal senso richieda una regia pubblica, tramite apposite politiche ove il soggetto pubblico svolga un ruolo di definizione e promozione di progettualità e di coordinamento di iniziative. In particolare, alla scala locale comunale, sono due le categorie di politiche pubbliche che ciò chiama in causa: quelle solitamente descritte come ‘politiche culturali’ e quelle, assai rilevanti e connesse all’attività di pianificazione urbanistica e governance urbana, identificabili come ‘politiche degli spazi pubblici’.
Questi due diversi frames dell’azione pubblica, si possono pensare come una sorta di due facce di una stessa ‘cornice di senso’ entro cui pensare, coordinare e indirizzare una serie di azioni volte alla gestione/realizzazione di spazi – di articolata caratterizzazione – destinati alla vita culturale della città/comunità. I risultati attesi dalle due politiche pubbliche potrebbero peraltro presentare significativi scostamenti, in forza di due differenti possibili modi di valutarne l’efficacia.
In termini di politiche culturali, si adotta solitamente una visione della cultura quale oggetto/contenuto che necessita di spazi fisici, strutture organizzative e supporti amministrativi per offrire/fornire una gamma di prodotti destinati tanto all’uso/consumo interno (i servizi) quanto alla cattura di risorse esterne (gli investimenti). Secondo questa logica la cultura (nella sua più ampia accezione) assume sia la natura di ‘servizio’ del welfare da erogare, sia una ‘risorsa’ su cui fare leva per accrescere la competitività di una città (si pensi ai grandi eventi culturali, stabili e/o periodici e/o occasionali). Nel primo caso, però, il riferimento prioritario è allo spazio (non solo fisico) pubblico quale elemento fondante della struttura urbana: gli spazi pubblici sono quelli che rendono significativa la vita cittadina, che ne connotano la qualità, che favoriscono azioni e interazioni non soltanto orientate al consumo.
La cultura – nelle sue componenti di patrimonio materiale e immateriale – si rivela allora una componente fondamentale dello spazio pubblico, sia esso una piazza, un parco, un museo, un mercato, una biblioteca, una scuola o lo spazio di un’opera d’arte.
Questo approccio è chiamato in causa nel numero 297 di Urbanistica Informazioni che a partire dal Focus “I luoghi della cultura motori della rigenerazione urbana” (a cura di Vittorio Salmoni) sviluppa una riflessione critica, attraverso una selezione di casi esemplari multiculturali, sulla capacità della cultura di porsi come opportunità per unire la cittadinanza, elevare il capitale sociale di una comunità e dotare di nuova energia le economie locali, superando la mera dimensione economico finanziaria. È questo un asse di pensiero ben presente anche nel servizio curato dalla Community Inu Città accessibili a tutti che presenta alcuni esiti della sperimentazione in corso a Mantova, Reggio Emilia, Ancona e Spello promossa dal progetto Inu “Patto per l’urbanistica” ove è forte la convinzione che la cultura oggi non possa prescindere dalla stretta relazione con la città accessibile e la sostenibilità ambientale. Un Patto fondato sull’intenzione di agire per favorire il superamento delle disuguaglianze, per assicurare la salute e il benessere per tutti, per contribuire al raggiungimento dell’uguaglianza di genere, per operare affinchè la vitalità di città e territori sia parte della rigenerazione, per porre le persone al centro dei traguardi inerenti il miglioramento della qualità della vita…