Alain de Benoist
di Caterina Soffici
Alain de Benoist, 80 anni, scrittore e filosofo francese, è l’autore di un centinaio di libri dedicati principalmente alla filosofia politica e alla storia delle idee, ed è il fondatore del movimento culturale Nouvelle Droite (Nuova Destra). In Italia è appena uscito La scomparsa dell’identità (Giubilei Regnani).
Lei è – ed è stato – l’ideologo di riferimento della classe politica al governo oggi in Italia. Pensa che in Italia esista davvero un’egemonia culturale della sinistra?
«Non sono l’ideologo di nessuno. Sono un intellettuale indipendente che lavora nel campo della filosofia politica e della storia delle idee da oltre mezzo secolo. Ho lettori di destra e di sinistra, ma sono indifferente alle etichette. In Francia, la divisione orizzontale destra-sinistra viene gradualmente sostituita da una divisione verticale che contrappone il popolo alle élite. Mi considero un comunitario, persino un socialista conservatore come George Orwell, Christopher Lasch, Jean-Claude Michéa o Michel Onfray. Il mio principale nemico è il capitalismo liberale. Sono molto grato a Francesco Giubilei per avermi invitato al Salone del Libro di Torino. A mio avviso, l’attuale governo italiano non è né populista né sovranista, e ancor meno post-fascista. È un governo conservatore-liberale molto classico. La grande domanda per i conservatori è cosa vogliono (e possono) mantenere».
Da anni la destra denuncia l’esistenza di un pensiero unico dominante di sinistra, che coincide grossomodo con il politicamente corretto. Lei ha qualcosa contro il politicamente corretto?
«L’ideologia dominante è un misto di progressismo, che combina ciò che resta dell’ideologia del progresso con l’inflazione dei diritti individuali e il monoteismo del mercato. Il politicamente corretto è la “novellistica” di cui parla Orwell in 1984, che mira a cambiare il significato delle parole per trasformare le menti delle persone. Eufemizzando il linguaggio per non urtare i sentimenti di nessuno, aggiunge l’autocensura alla censura e trasforma la società in un cumulo di sensibilità».
Avrà seguito la polemica sulle contestazioni alla ministra Eugenia Roccella al Salone del Libro di Torino. A destra si è parlato di «fascismo degli antifascisti», citando Pasolini. Lei che ne pensa?
«Sono molto affezionato a Pasolini, ma la frase che lei cita è puramente polemica. Aggiungo che cercare di discutere oggi sulla base del fascismo o dell’antifascismo equivale a comportarsi come i dinosauri. L’evoluzione non è stata gentile con i dinosauri».
Avrà notato che uso «ministra» e non «ministro». Anche di questo si è discusso molto in Italia. Meloni vuole essere chiamata «il presidente» e non «la presidente». Lei si è occupato di identità, e qui siamo di fronte a un caso tipico di declinazione identitaria: perché la cultura della destra non riconosce che la funzione si declina col genere?
«La grammatica francese vieta la femminilizzazione della maggior parte dei sostantivi funzionali, in quanto rientrano nel cosiddetto “neutro maschile”. L’idea che il genere grammaticale e il sesso biologico siano collegati è una finzione linguistica (né l’inglese moderno né il turco hanno un genere grammaticale). Le innovazioni linguistiche sono legittime quando sono sancite dall’uso, non quando sono decretate per legge».
La destra italiana sembra avere paura del futuro. Ha sempre uno sguardo rivolto al passato, sembra che non riesca ad affrontare i temi posti da una società che cambia. Per esempio, i matrimoni omosessuali: nel Regno Unito i conservatori li hanno approvati perché sono una forma di convivenza che riguarda molte persone. Perché in Italia si ha paura di una famiglia che non “tradizionale”?
«Nell’era dell’intelligenza artificiale, delle prospettive transumaniste, dei disastri climatici e delle crisi finanziarie globali, la paura del futuro è meno irrazionale della paura del passato. Una novità non è buona solo perché è nuova o perché soddisfa i gruppi di pressione. È buona se contribuisce al bene comune. Detesto l’omofobia, ma il desiderio di matrimonio tra persone dello stesso sesso mi sembra derivare principalmente da un desiderio di normalizzazione borghese. Questa è anche l’opinione della maggior parte dei miei amici gay».
C’è un altro tema che accomuna le destre in Europa in un asse sovranista che va da Le Pen a Orban: la paura del diverso, del migrante. Perché?
«Non ho mai smesso di criticare la concezione “sovranista” della sovranità, concepita come indivisibile e assoluta secondo il modello di Jean Bodin. Da parte mia, sono favorevole a una sovranità distribuita, basata sul principio di sussidiarietà definito da Johannes Althusius. Ma più importante della sovranità nazionale è la sovranità popolare, che è il fondamento della democrazia».
Noi tutti siamo degli ibridi. Fin dai tempi dell’Impero romano siamo figli di un miscuglio di incroci e di migrazioni. Perché oggi fanno paura?
«È una questione di proporzioni. Le popolazioni miste sono sempre esistite, ma l’ibridazione diffusa che porta all’indistinzione è un’esclusiva dell’Occidente contemporaneo».
Le migrazioni sono fenomeni globali e incontrollabili. Non sarebbe meglio inglobare e dare dignità ai cittadini stranieri – migranti economici / rifugiati politici / richiedenti asilo – piuttosto che cercare di respingerli o rinchiuderli nelle banlieue dove poi scoppiano rivolte? O diventano un problema sociale mentre potrebbero essere una risorsa di fronte al calo demografico?
«Andate a dire ai giapponesi o ai cinesi che la migrazione è fuori controllo! La politica pubblica non può basarsi sulla moralità o sulla generosità individuale. Deve dare la priorità al bene comune. Personalmente sono ostile all’immigrazione, ma non certo agli immigrati. La stragrande maggioranza degli europei (il 75% in Francia) è altrettanto ostile, perché le persone non vogliono sentirsi straniere nel proprio Paese, vogliono preservare la propria socievolezza, non vogliono che il loro diritto alla continuità storica sia minato e vogliono mantenere il controllo delle condizioni della propria riproduzione sociale».
Per lei cosa è l’identità nazionale?
«Semplice: l’identità di un popolo è la sua storia».
Ha senso parlare di «sostituzione etnica»?
«Venga a Parigi e si guardi intorno».
Lei è contrario alle teorie del genere. Perché?
«Perché si basano sull’idea che il genere non abbia nulla a che fare con il sesso biologico, il che è una falsità. E perché invece di promuovere le donne, nega l’esistenza stessa delle differenze tra uomini e donne e contribuisce alla guerra tra i sessi, alimentata dal neopuritanesimo imperante».
Perché non si può sostenere che «ognuno è ciò che vuole essere»? Chi lo deve decidere, se non l’individuo?
«L’individualismo di ispirazione borghese e liberale è una delle cause principali della scomparsa dei legami sociali e della disgregazione delle società. Ma anche da questa prospettiva, l’ideale del self-made man è irraggiungibile. Non si può mai costruire se stessi dal nulla».
Nel suo libro paragona una donna con la barba, una lesbica nera in transizione, una donna senza utero, un uomo provvisto di vagina a una vacca da latte e a un canarino. Che problema ha la destra con identità che non sono canoniche? (e anche con le vacche da latte e i canarini?)
«A prescindere dal nostro orientamento sessuale, i sessi saranno sempre e solo due. Si possono fare trattamenti ormonali o mutilazioni genitali, ma i cromosomi sessuali saranno sempre XX o XY».
Lei parla anche di «neorazzismo identitario». Ci può spiegare cosa significa?
«Il neorazzismo identitario, praticato dai sostenitori dell’ideologia “postcoloniale”, consiste nell’accusare un immaginario “razzismo sistemico” argomentando sulla base della nozione di razza. In realtà, non si tratta più del contrario del razzismo, ma di un razzismo in senso opposto. È anche un buon pretesto per perdere interesse nella rabbia sociale e nella lotta contro l’alienazione del lavoro da parte dell’ideologia del profitto».
Perché lei scrive che difendere l’Europa è un obiettivo legittimo, ma non ci può definire “europei”?
«Mi ha frainteso. Mi sono sempre definito prima di tutto un europeo, ma non certo un occidentale!».
La accusano di essere un putiniano. È vero?
«Non sono né putiniano e né zelenskiano. Sono a favore di una soluzione politica a questa terribile guerra tra Russia e Nato attraverso l’Ucraina, il più rapidamente possibile. Poiché l’Ue non ha alcun interesse esistenziale in Ucraina, avrebbe dovuto offrire subito una mediazione. Mi dispiace che si sia unita al campo dei guerrafondai, con il rischio di portare a un’estremizzazione di cui pagheremo tutti il prezzo».
C’è un certo machismo in giro. Perché la cultura della destra non ha ancora superato il patriarcato e il paternalismo? Li reputa dei valori da difendere?
«Per me, il valore da difendere è quello dell’uguaglianza di genere. Non sono convinto che il modo migliore per uscire dal patriarcato sia quello di sostituirlo con il matriarcato».
Le destre hanno di nuovo vinto le ultime tornate elettorali. Lei vede un pericolo autoritario in giro per l’Europa e per il mondo?
«La cosa più pericolosa sarebbe opporsi ai poteri autoritari solo con la prospettiva del caos».