ROMA — Da sempre, fin da quando la premier era solo la giovane segretaria di Fratelli d‘Italia, le ha curato la rassegna stampa. Anche se lui in fondo odia la stampa. Soprattutto se non fa eco al suo pensiero e a quello della presidente del Consiglio. D’altronde il pensiero di Giovambattista Fazzolari e di Giorgia Meloni è cosi intrecciato, come ha ammesso la stessa premier nella sua autobiografia, che non si sa da chi nascano le idee. Di sicuro da quando Fazzolari ricopre il ruolo di uomo ombra di Meloni, prima quando lei era al vertice dei giovani di An, poi quando è stata promossa ministra alle Politiche giovanili del peggior governo berlusconiano (quello che stava portando dritto il Paese sull’orlo del baratro economico tra feste e olgettine), fino alla cavalcata vincente per la presa di Palazzo Chigi, il suo compito mattutino è rimasto lo stesso: segnare in nero e in rosso i giornalisti e i giornali nemici o amici.
Adesso dalla rassegna stampa Fazzolari è passato a ben altri ruoli e incarichi e ha preso le redini del “pensiero” di governo meloniano: è sua la regia dall’attacco della presidente Meloni, e dei suoi fedelissimi sempre teleguidati (loro sì), alla stampa non amica. Un attacco diretto, senza giri di parole, senza intermediazione (che per cultura alle loro latitudini non piace): che si tratti diRepubblica , dei programmi Piazzapulita di Corrado Formigli o di Otto e mezzodi Lilly Gruber, solo per citare alcuni esempi in questo primo anno di governo al vertice della coalizione di destracentro.
Non è un caso quindi che il “mattinale” di ieri inviato a deputati, senatori e componenti di governo di Fratelli d’Italia, sia stato riempito da un travaso di bile che conteneva un intero paragrafo contro Repubblica .Pensato da Fazzolari, scritto e corretto dalla cerchia di fedelissimi di “sangue” meloniano, come Paolo Quadrozzi che è anche cognato di Giovanna Ianniello, l’altra ombra di Meloni da quanto erano ragazze. Il cerchietto magico. Perché poi Fazzolari, come Meloni, si fida di pochissimi e parla con pochissimi.
Definito da tutti come un burbero educato, uno che difficilmente perde l’aplomb, Fazzolari non ama apparire anche se c’è da strigliare qualcuno di suoi. E, soprattutto, non ama salotti e riflettori: non è né Gianni Letta né il Rocco Casalino di Giuseppe Conte, anzi. Non si vede mai in Parlamento, non si vede nelle fotografie degli eventi mondani su Dagospia (altro sito che non pare gradito ultimamente a Palazzo Chigi). Eppure è lui che ha in mano la comunicazione e l’immagine del melonismo: ottimi rapporti con pochi direttori, come Gianmarco Chiocci al Tg1 che dicono senta quotidianamente, e sui giornali preferisce andare sul velluto, come con la triade del gruppo di Antonio Angelucci: Libero, Tempo e Il Giornale . E ultimamente gradisce molto anche Il Foglio di Claudio Cerasa. Ma su tutti adora Mario Sechi: dicono che l’idea di fare quella prima pagina di Libero titolata “L’uomo dell’anno” con la faccia di Meloni sia stata quanto meno avallata da Fazzolari.
Comunque in tv e sui giornali lui preferisce apparire con il contagocce e quando lo fa gli parte la frizione: come quando parlò «dell’omino della Cia» che si aggirava attorno a Palazzo Chigi, o quando dopo lo scorso Sanremo disse che «occorreva riportare il decoro in Rai».
Fazzolari parla con pochi fidati, anche quando sul suo tavolo arrivano i dossier sulle partecipate. Pochissimi i suoi riferimenti, come Fabio Barchiesi in Cassa depositi e prestiti, Giovan Antonio Macchiarola dell’Enav, Stefano Meloni all’Eni e Giuseppe Lasco in Poste. «Per il resto non parla con nessuno, perché per loro contano solo i conoscenti diretti: altro che basta amichettismo», dice un portavoce di una grande partecipata. Perfino per le società di lobbying Fazzolari rimane ostico: «Parla solo con quelli di Utopia del suo amico Giampiero Zurlo, gli altri nemmeno li riceve», dicono.
Non si fida e non fa fidare di nessuno nemmeno Meloni. Perché poi i due si trovano bene su un altro terreno: quando ci sono problemi, evocare complotti che non si sbaglia mai. Lo ha fatto Fazzolari tirando in ballo anche Bankitalia, lo fa da quando è al governo Giorgia Meloni in pieno stile trumpiano. Governano, ma hanno bisogno di un nemico da dare in pasto all’opinione pubblica. Un pensiero che non si sa se sia nato prima da Fazzolari o da Meloni: «Ormai ci capiamo al volo e tra noi c’è una tale alchimia che a volte non ricordiamo più chi sia stato, dei due, a elaborare un determinato pensiero», ha scritto la premier nella sua autobiografia. Appunto.