Il Carroccio insiste sul suo provvedimento simbolo. Salvini: “Sarà realtà entro il 2023”. Ma la premier non ne parla e dà precedenza al presidenzialismo: “È la nostra priorità”. Anche Forza Italia frena sulla proposta Calderoli: “Non bisogna penalizzare il Sud”
MILANO — Non un cenno, una parola, un riferimento, zero. In due giorni di kermesse milanese, quelli a mo’ di auto-presentazione come prossimo partito pigliatutto a guida della “locomotiva” Lombardia, nessuno di Fratelli d’Italia ha fatto cenno al tema che invece sta più a cuore alla Lega spodestata: l’autonomia.
Così, mentre ieri sempre a Milano Matteo Salvini presentando le proprie liste per il Pirellone prometteva («Dopo 30 anni di battaglie, grazie al nostro impegno e al centrodestra serio e compatto, l’autonomia sarà una realtà entro il 2023»), mentre i manifesti elettorali della Lega in giro per la regione promettono (“Avanti Lombardia! Missione: autonomia”), mentre il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli fa lo stesso girando su e giù per l’Italia e con la bozza di riforma già bella e scritta («Non ci sono santi, vado avanti»), gli alleati di FdI nicchiano. In mezz’ora di intervento in collegamento, sabato, Giorgia Meloni ha citato sì il presidenzialismo, non però l’altra riforma sulla quale la Lega sta puntando tutte le proprie fiches. La storia, la cultura politica della destra tricolore, è centralista e non è certo un mistero. Ai quasi 200 sindaci del sud — non solo di sinistra o dei 5 Stelle — che nei giorni scorsi avevano scritto a Sergio Mattarella chiedendo di fatto al Colle una sorta di protezione contro quella che ritengono la “secessione dei ricchi” pensata da Calderoli, Palazzo Chigi ha offerto un altro interlocutore e mediatore, cioè Raffaele Fitto, il fidatissimo di Meloni ministro per gli Affari europei e per il Sud.
Osservatore esterno e quindi più lucido e libero nel commento, ma ancora oggi uomo di peso nell’area post-missina, Gianfranco Fini ospite di Lucia Annunziata a “Mezz’ora in più” l’ha detto chiaramente: l’autonomia differenziata è «la vera grande questione politica che la maggioranza dovrà affrontare nei prossimi mesi. Per la Lega è una bandiera che non può essere ammainata, ma ha fretta e la fretta è cattiva consigliera. La riforma è complicata e rischia di spaccare il Paese». È per questo motivo che anche il pezzo “nordista” geograficamente parlando di FdI, che pure ha un peso non da poco negli equilibri interni — da Daniela Santanché a Ignazio La Russa — non pare avere alcun interesse sulla questione. Più la Lega si agita, più FdI si irrigidisce.
Portare a casa l’autonomia è una missione ormai irrinunciabile per Salvini, ansioso di fissarsi sul petto la spilletta del provvedimento accanto al classico Alberto da Giussano placcato in oro. Il vicepremier, ribattezzato “ministro al Ponte sullo Stretto” dai suoi avversari interni, da tempo è accusato da un pezzo di partito di aver abbandonato le ragioni storiche del Carroccio. È una minoranza sempre più rumorosa, per ora capitanata dal solo Umberto Bossi, che ne minaccia direttamente la leadership interna. E secon una Lega al 30 per cento (come nel 2019) aveva senso mantenere un profilo nazionalista, adesso con più dei due terzi dei consensi persi a favore proprio di FdI Salvini è costretto a ripiegare sulle vecchie parole d’ordine, in questi anni rimaste appannaggio dei governatori del Nord.
Peraltro non c’è solo FdI a mostrare scetticismo sul progetto dell’autonomia, visto che anche Forza Italia condivide le titubanze. Prima di Natale Silvio Berlusconi aveva detto di «valutare con prudenza» il disegno Calderoli, così pure il ministro degli Esteri e coordinatore forzista Antonio Tajani due giorni fa ha ribadito che «l’Italia non deve essere divisa, servirà un’autonomia che non penalizzi il sud». Di favori particolari ad un Salvini in difficoltà nessuno sembra intenzionato a farne. Se poi autonomia sarà, di sicuro avrà un disegno ben lontano da quello immaginato dalla Lega.