Nel partito della premier rivolta contro l’ultimo leader di An dopo l’invito ad abiurare il fascismo Il vicepresidente della Camera: “Abbiamo superato il nostalgismo già prima di Fiuggi”
ROMA — È rimasto «indietro» o forse era «distratto», Gianfranco Fini. Gli ultimi dieci anni trascorsi lontano dalla politica, a occuparsi dei suoi guai personali e giudiziari, gli hanno impedito, secondo gli ex di An, di vedere «il percorso di emancipazione dalle nostalgie fasciste compiuto da Fratelli d’Italia»: o almeno questa è l’interpretazione più benevola. Ché per i detrattori, ossia la maggioranza degli ex camerati, lo storico capo di Alleanza nazionale è solo un burattino armato dalla sinistra per colpire la prima forza del Paese e la sua leader carismatica. Perciò «da lui niente lezioni», è la conclusione unanime.
Altro che «ritrosia a pronunciare l’aggettivo antifascista», ovvero ciò che Fini ha rinfacciato a Giorgia Meloni. Secondo gli esponenti della destra che fece la svolta di Fiuggi e poi, dopo la sfortunata parabola del Pdl, si disperse in molti rivoli salvo quasi tutti ritrovarsi sotto le insegne della nuova Fiamma, i conti con la Storia patria sono stati fatti da un pezzo. E a chiuderli sarebbe stato proprio FdI, nato nel 2012 dall’intuizione di un gruppo di ex missini radunati intorno a una giovane donna che missina non è stata mai. Riuscendo là dove l’ex presidente della Cameraaveva miseramente fallito.
«Mi dispiace per l’amico Gianfranco, ma per noi l’antifascismo è sempre stato, ben prima che lo dicesse lui, uno strumento fondamentale per conquistare libertà e democrazia: è un perimetro comune», rivendica Fabio Rampelli, mentore e cofondatore del partito di Meloni, pronto a bollare come «folclore inevitabile, peraltro presente anche dall’altra parte», le mani tese, i travestimenti nazisti, le rievocazioni del Ventennio. «Il problema è la caccia all’uomo quotidiana che siamo costretti a subire da chi intende spingerci altrove, da quella sinistra che non vuole che il 25 Aprile sia una giornata di tutti, se ne è appropriato per ricacciarci indietro, chiedendoci sempre una nuova abiura, un passo in più, che alla fine non si capiscenemmeno quale debba essere». Non respinge solo le accuse di reticenza, Rampelli, ma rilancia pure: «Mi piacerebbe ricordare ai pochi interessati alla vera storia della destra che prima di Fiuggi c’è stata una generazione che ha costruito il superamento del nostalgismo e del neofascismo e per questo è stata persino discriminata all’interno del suo stesso partito ». La sua. Guardata con sospetto dentro l’Msi e poi anche in An perché «noi facevamo assemblee antirazziste, collaboravamo con monsignor Di Liegro, vietavamo i saluti romani, promuovevamo attività associazionistiche e culturali. Una generazione di ribelli, che è quella che ha fatto FdI ed era più avanti di Fini e di Fiuggi», ribadisce il vicepresidente della Camera, secondo cui «An sì che era piena di nostalgici, nacqueperché era finito il pentapartito e c’era uno spazio politico da riempire ». Più opportunismo che ideali, insomma. «Tutti dimenticano che nel ‘94 è stato Fini a dire che Mussolini fu il più grande statista del secolo». Chiaro il sottinteso: né lui né Meloni hanno detto parole simili. E pazienza per i La Russa che conservano a casa i busti del Duce o i Bignami che indossavano la divisa delle SS: casi da derubricare alla voce goliardia o folclore, che «non fanno statistica».
Una linea di pacificazione nazionale affermata dai leghisti lesti a infilarsi nelle difficoltà degli alleati. Ma dichiarata anche da Francesco Lollobrigida: «Il 25 Aprile è un momento significativo di libertà, descritta dalla Costituzione sulla quale ho giurato », ha affermato ieri il cognato-ministro, quasi a fare ammenda delle frasi choc sulla sostituzione etnica. Oggi «ricorderemo i martiri di un periodo sanguinoso che lo stesso De Gasperi ha definito di guerra civile e che ha messo in condizione l’Italia di dividersi», la chiosa a margine della commemorazione per lo statista dc: «Credo che sia il tempo della massima unità».
Uscita riparatoria che tuttavia non placa la rabbia contro il vecchio capo. «Meloni è estranea a qualsiasi cultura fascista, testimone da sempre dei valori della democrazia. L’esamino supplementare di Fini per rendersi utile alla sinistra dimostra supponenza», taglia corto Maurizio Gasparri. La stessa tesi di Adriana Poli Bortone. Condivisa dall’ex An Amedeo Laboccetta: «Gianfranco è invidioso, non si rassegna ai successi della premier», da qui il «ridicolo tentativo di proporsi come padre nobile » dopo «i disastri provocati fra il 2010 e il 2011». Ma «gli italiani hanno scoperto da tempo la sua vera natura (vedi casa di Montecarlo) e lo hanno bocciato». Rincara Italo Bocchino, già fedelissimo di Fini: «Gli esami erano due, il consenso degli elettori e la legittimazione internazionale, Giorgia li ha superati a pieni voti. Il Paese ha scelto di farsi governare da lei». A riprova che a destra, per chiudere i conti con la Storia, basta vincere le elezioni.