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3 Agosto 2024Firenze. In centro la rendita si abbatte (anche) sui medici di famiglia: affitti troppo alti, fuga dagli ambulatori
A breve 4 nuovi addii. Dieci anni fa erano 31, ne rimarrebbero 16. La coordinatrice Baldini: «Servono clausole come in montagna»
Giulio Gori
Erano 31 i medici di famiglia che, nel 2014, avevano scelto il centro storico di Firenze come «zona prevalente». Dieci anni dopo sono rimasti appena in 20. E nei prossimi mesi, a causa di 2 defezioni e di 2 pensionamenti forzati, rischiano di rimanere appena in 16. Un’emorragia che non si arresta e che è superiore persino al calo demografico (secondo una stima sommaria, dal 2014 si sarebbero persi il 20% dei pazienti) che si registra da anni in centro, a causa della pressione turistica, degli appartamenti trasformati in locazioni brevi, dell’aumento degli affitti. E i motivi della carenza dei medici sono anch’essi legati al problema della rendita immobiliare. Così ora lanciano l’allarme. Con un appello all’Asl.
I costiA raccontare la crisi è la dottoressa Barbara Baldini, coordinatrice dell’Aft (Aggregazione funzionale territoriale) del centro storico. «Una volta in centro c’erano tanti medici che avevano l’ambulatorio all’interno di una civile abitazione di proprietà. E c’erano anche tante associazioni che mettevano a disposizione ambulatori a prezzi accettabili. Adesso invece i medici “proprietari” sono quasi tutti scomparsi, in pensione da anni. E ci sono associazioni che affittano facendo attività d’impresa a prezzi di mercato». Il caso più clamoroso? «In via Fra’ Bartolomeo, per una singola stanza messa a disposizione per un gruppo di colleghi, all’interno di uno studio vengono chieste. 1.500 euro al mese». Pensare che non siamo neppure in centro, ma sulla cerchia dei viali.
Le defezioni«Nei prossimi mesi, avremo 4 medici in meno. Se niente cambia, ci ritroveremo da 20 a 16», spiega ancora Baldini. Due di loro, entro settembre dovranno lasciare perché non hanno ottenuto la proroga — che pur avevano richiesto — per poter lavorare fino a 72 anni. Altri due invece vogliono lasciare in anticipo rispetto alla canonica scadenza dei 70 anni, perché tra costi e difficoltà nel lavorare in centro, intendono abbandonare la professione una volta compiuti i 68 anni. E se molti dottori hanno già raggiunto il massimale di 1.575 pazienti, altri sono persino in deroga e arrivano a 1.800: «Si dimettono non solo per i costi, ma anche per carichi di lavoro che impediscono una corretta relazione medico-paziente: perché quando ti trovi ad avere eccessivo numero di assistiti, oltre il massimale, perdi tempo di cura, non riesci a fare al meglio il tuo lavoro», prosegue la coordinatrice dell’Aft.
La logistica«In centro la popolazione dei pazienti è molto anziana. Se aggiungiamo che i collegamenti con i mezzi pubblici sono molto carenti, per i pazienti spostarsi diventa molto complicato. Non solo per noi medici», spiega Baldini. Il progetto di Asl, Comune e Regione prevede lo spostamento di tutta l’Aft del centro storico nella futura casa di comunità di Montedomini: «Ma quella parte di progetto non rientra nel Pnrr, per cui non c’è alcuna garanzia che sarà pronta nel 2026. Tanto più che Montedomini è troppo periferico rispetto al centro». Vale a dire che con la pedonalizzazione del quadrilatero d’oro, per tanti sarebbe difficile da raggiungere. «Per questo servirebbe puntare su ambulatori diffusi, ma facendo in modo che istituzioni sanitarie e politiche, oltreché associazioni, ci aiutino».
Le proposteL’Aft del centro storico chiede quindi all’Asl Centro di cambiare le regole: «Primo, vorremmo che chi ne fa richiesta, possa lavorare fino ai 72 anni. Secondo, più importante, quando un nuovo medico ottiene la titolarità su Firenze, servirebbe una clausola che lo obblighi a fare servizio in centro almeno due giorni a settimana. Altrimenti nessuno ci viene». Terzo, creare una rete informatica che vada oltre i singoli ambulatori: «Oggi quando sostituisco un collega che lavora in un altro ambulatorio, non ho posso accedere ai dati dei suoi pazienti». Così Barbara Baldini va al cuore del problema: «Bisogna cominciare a pensare il centro città come una zona disagiata: bisogna favorire la presenza dei medici, anche con aiuti a sostenere le spese per gli ambulatori, esattamente come avviene nelle zone di montagna e nei territori interni».
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