“L’agenda Draghi” è fuffa
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25 Luglio 2022I PUNTI CHIAVE DEL PROGRAMMA
alessandro di matteo
maria rosa tomasello
Dentro Forza Italia c’è addirittura chi sogna Mara Carfagna candidata premier, idea alimentata dalla speranza che la ministra per il Sud utilizzi la pausa di riflessione che ha annunciato dopo l’addio di Mariastella Gelmini e Renato Brunetta per tornare sui suoi passi e incarnare il volto rassicurante del partito. Benché improbabile, perché Carfagna sarebbe decisa all’addio, il balenare di questa ipotesi è il sintomo che la questione della leadership, tra gli azzurri, è tutt’altro che risolta. La chiamata in campo di Antonio Tajani, forte di un corposo curriculum a Bruxelles, come ideale candidato premier del centrodestra da parte del Partito popolare europeo, ne è invece la prova evidente. E se il vicepresidente azzurro si schermisce, sottolineando di non avere «ambizioni di premierato», spiegando di non essere candidato e ricordando di essere «un soldato» a disposizione di Silvio Berlusconi e della coalizione, il nodo non è affatto sciolto, ed è certo che sarà la spina del vertice in programma, se tutto verrà confermato, mercoledì a Montecitorio. Dopo gli ultimi incontri organizzati nelle tenute del Cavaliere, Villa San Martino ad Arcore e Villa Grande a Roma, con la scelta dello spazio a indicare la leadership carismatica, per la prima volta il gotha della coalizione si ritroverà, su richiesta di Giorgia Meloni, in uno spazio neutro, e istituzionale.
Da discutere ci sono il programma elettorale, e la suddivisione delle quote nei collegi, altro tema scottante. E la questione centrale che per gli azzurri resta aperta: l’indicazione del candidato premier è prematura, ripetono dentro il partito, meglio utilizzare lo schema in cui ognuno si presenta agli elettori con il proprio leader, rinviando la scelta definitiva. Per Meloni, che l’ha ribadito più volte, la questione è semplice: «Governa chi prende più voti». «Chi prenderà più voti indicherà il premier, com’è giusto che sia» ribadisce il leader leghista Matteo Salvini, forse immaginando una soluzione diversa in cui la leader di FdI assuma piuttosto il ruolo di kingmaker.
Ma dentro Forza Italia, in allarme per la fuga dei ministri che rappresentavano il volto moderato del partito, l’idea è che «è meglio parlarne dopo, perché – avvertono – il centrosinistra userà il solito ritornello del fantasma del fascismo contro di noi: non dobbiamo dare loro questo assist, meglio decidere più avanti». Dopo il voto. Quando a decidere, dicono, potrebbe essere l’assemblea degli eletti. Un modo per rimettere la palla al centro, ignorando i sondaggi che oggi assegnano la vittoria a Fratelli d’Italia, nella speranza che le urne gonfino i numeri di Lega e Forza Italia al punto da consentire a Salvini e Berlusconi di contendere la leadership a Meloni. Ed ecco che il nome di Tajani, lanciato non a caso lontano da Roma, è un modo di marcare il territorio dei moderati, che va presidiato per evitare che il raggruppamento di centro che potrebbe formarsi attorno a Carlo Calenda, ai ministri in rotta con Fi, o allo stesso Luigi Di Maio, vi si insedi. Il garante di questo spazio, spiega Sestino Giacomoni, membro del coordinamento di presidenza del partito, resta il Cavaliere. «Con Berlusconi in campo Forza Italia punta al 20% per tornare ad essere trainante. Berlusconi è importante anche per il suo ruolo di federatore, per 20 anni ha tenuto insieme Bossi e Fini ed anche oggi riuscirà con facilità a tenere unito il centrodestra. La sua presenza in questa campagna elettorale è fondamentale soprattutto per il Paese». Nel 2018, quando Berlusconi, per via del dettato della legge Severino, non era candidabile, Forza Italia raccolse il 14%. Oggi oscilla attorno all’8%, quindi un balzo di 12 punti più che una vittoriae sarebbe un miracolo, ma è noto che il leader di Forza Italia, così come il segretario della Lega, amano le sfide elettorali, e confidano. Soprattutto che il risultato sia tale da sfilare a Giorgia Meloni lo scettro della premiership. Per Berlusconi, in caso di vittoria, potrebbe profilarsi la poltrona della seconda carica dello Stato, la presidenza del Senato, ma come dice Salvini, «Berlusconi può aspirare qualsiasi incarico».