La sfida inedita è garantire un fronte di oltre mille chilometri L’ipotesi è coinvolgere Paesi “neutrali” Ma resta il nodo del ruolo Usa
Diecimila soldati con 1500 veicoli che intervengono a proteggere il fronte orientale della Nato senza bisogno degli americani: una task force esclusivamente europea, che la scorsa settimana ha preso posizione in Bulgaria per l’esercitazione “Steadfast Dart” ed è stata vista come la prova generale di un futuro molto prossimo in cui il Vecchio Continente dovrà abituarsi a fare da solo. Un’operazione gestita dal Corpo di spedizione rapida dell’Alleanza — che è guidato dal generale Lorenzo D’Addario e ha sede a Solbiate Olona, nel Varesotto — che potrebbe diventare il modello dello schieramento in Ucraina per tutelare la tregua tra i belligeranti. Secondo alcune indiscrezioni, la Casa Bianca ha già chiesto alle cancellerie europee di precisare quante truppe possono mettere a disposizione.
L’unico punto certo è che gli Stati Uniti non ci saranno. Su tutto il resto c’è una grande ambiguità di fondo. Si dovrà trattare di una «forza di interposizione» che vigili sul rispetto della tregua, come trapela dai discorsi dell’amministrazione Trump? Oppure di una «forza di deterrenza», che gli ucraini pretendono come garanzia contro il rischio di altri attacchi russi? La declinazione militare e politica di questi due concetti è molto diversa.
La forza di interposizione fa il lavoro tipico dei caschi blu dell’Onu: tengono separati i due eserciti rivali, controllando che gli accordi vengano rispettati. Il caso più noto è quello di Unifil, presente in Libano tra il fiume Litani e il confine israeliano dopo il cessate il fuoco che ha chiuso il conflitto del 2006. Tendenzialmente deve essere composta da reparti di nazioni neutrali o che comunque non siano percepite come ostili dagli ex belligeranti. I Paesi che potrebbero ottenere il via libera sia da Kiev che da Mosca sono pochi: tra quelli Nato soltanto Turchia, Ungheria e Grecia; tra le potenze probabilmente Cina e India,a cui potrebbero aggiungersi forse Brasile e Azerbaijan. Un’organizzazione del genere rischia di essere simile a “un’armata di Babele” con metodi, equipaggiamenti e tradizioni agli antipodi. Ad esempio, Pechino non ha alcuna esperienza di attività di questo tipo, visto che i suoi impegni militari internazionali sono sempre stati limitati a piccoli gruppi.
Il problema è che gli “operatori di pace” hanno davanti una sfida senza precedenti: il fronte oggi si estende per quasi 1200 chilometri.Lungo circa trecento chilometri il fiume Dnipro offre un confine facile da controllare; gli altri novecento sono scanditi da boschi e città rase al suolo, in cui bisognerà costruire una fascia di sicurezza larga parecchi chilometri con reticolati e forse campi minati. Custodire una linea così grande e geograficamente complessa, impedendo incidenti tra due eserciti che da tre anni si combattono con una ferocia che ricorda quella delle guerre civili, richiede teoricamente un numero dipeacekeeper elevatissimo: ne servirebbero
80-100 mila, con mezzi leggeri come autoblindo.
C’è un unico precedente, lontano nel tempo e con numeri oggi impensabili. Il cessate il fuoco tra le due Coree del 1953: la linea di demarcazione è lunga 280 chilometri, un quinto di quella da allestire in Ucraina. Gli Stati Uniti — che all’epoca erano intervenuti sotto la bandiera delle Nazioni Unite — vi lasciarono 250 mila soldati, provvisti di tutto il necessario per fronteggiare un nuovo assalto di Pyongyang: artiglieria, carri armati, aerei, navi.
Le truppe Usa in Corea erano dislocate a ridosso dei reticolati ma soprattutto in profondità: svolgevano entrambi i compiti, sia quello di forza di interposizione che di deterrenza. Una missione quest’ultima che presuppone la determinazione a rispondere a ogni attacco, oltre alla capacità bellica per riuscire a farlo. In Ucraina quindi solo i Paesi europei della Nato più vicini a Kiev potrebbero comporre questo combat group schierato a difesa dell’indipendenza del Paese contro eventuali aggressioni russe. Dovrebbe essere un raggruppamento “pesante”, con carri armati, cingolati, artiglieria, contraerea, copertura cyber e comunicazioni satellitari. Le caserme del Vecchio Continente però non possono mettere in campo grandi risorse: si ipotizzano al massimo 30-40 mila militari, che considerando i reparti di supporto limitano la forza combattente a circa 15 mila donne e uomini. Oggi la Francia, che vuole prendere la leadership nel sostegno a Kiev, potrebbe metterne a disposizione 10 mila; Italia, Regno Unito e Germania 5 mila ciascuno. Troppo pochi per fermare un’invasione: sarebbero come le divisioni statunitensi e britanniche presenti a ridosso del Muro di Berlino durante la Guerra Fredda. Erano considerate un “piatto di cristallo” che i tank sovietici avrebbero frantumato dando però il tempo di mobilitare le armate e allestire un contrattacco. Un piano però che dipendeva totalmente dallo sbarco degli americani.