Non per nulla nel testo ci imbattiamo a sorpresa persino in alcune citazioni “laiche” inattese, come, ad esempio, quella del poeta e musicista brasiliano Vinicius de Moraes (1913-1980) che nella sua Samba della benedizione, un disco del 1962, cantava: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». Si riconoscono pure l’ispirazione e gli stimoli offerti dal Patriarca ortodosso Bartolomeo e dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb del Cairo che con lui aveva firmato nel 2019 il famoso documento di Abu Dhabi per il dialogo interreligioso.
Può, inoltre, sorprendere che per ben tre volte si faccia riferimento al film Papa Francesco – Un uomo di parola (2018) del regista tedesco Wim Wenders, ove la voce del pontefice protagonista si allinea a quella di san Francesco per concludere con uno squarcio luminoso: «Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda col cuore. E l’amore di Dio è lo stesso per ogni persona, di qualunque religione sia. E se è ateo, è lo stesso amore. Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la luce sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie sorprese!».
Il testo dell’enciclica – la cui lettura risulta ora di nuovo stimolante – è una sorta di summa dell’azione pastorale di Francesco, ed è scandito da un dittico antitetico. La prima tavola è oscura ed è intitolata: «Le ombre di un mondo chiuso». Ecco solo alcuni segni di queste tenebre che attanagliano il nostro pianeta e l’epoca presente. I sogni di un’Europa unita, le aspirazioni all’integrazione, la stessa globalizzazione si stanno incrinando sotto l’incombere dei nazionalismi e sovranismi, degli individualismi, degli egoismi. Si manipolano parole e valori fondamentali come la democrazia, la libertà, la giustizia. Si allarga la folla degli «scartati», lasciati ai margini di un’accelerazione sempre più frenetica e di un consumismo che alimenta bisogni non necessari. Si moltiplicano i conflitti regionali (la «terza guerra mondiale a pezzi»), con le relative paure e miserie.
Si infittiscono sulle reti informatiche le aggressioni, i focolai di odio, le falsità spudorate, le manipolazioni e i fanatismi. La cultura digitale, anziché unire com’è nella sua stessa struttura comunicativa, divide e crea diseguaglianze e confusioni. Questo realismo non è, però, mai disgiunto dalla speranza e dalla fiducia nell’umanità, come è attestato dal commento appassionato alla celebre parabola evangelica del “Buon Samaritano” (Luca 10, 25-37) che introduce «un estraneo sulla strada» e che si legge in quelle pagine.
Il secondo quadro del dittico che regge l’enciclica è, invece, più ampio e luminoso, come suggerisce già il titolo: «Pensare e generare un mondo aperto e un cuore aperto al mondo intero». Quella che è proposta è un’apertura non solo geografica ma soprattutto esistenziale che trascende le frontiere. Si ribadisce, così, una tetralogia verbale spesso reiterata negli interventi di papa Francesco: «accogliere, proteggere, promuovere e integrare» coloro che approdano nel nostro continente.
In questa luce un itinerario di impegno concreto è riservato innanzitutto alla politica come espressione di cura del bene comune. Molti sono gli aspetti che vengono rilevati, a partire dalla tutela della dignità umana, vero e proprio cardine dell’agire politico, un dato che ha come corollario necessario il coinvolgimento degli esclusi nella costruzione della società e, a livello generale, la sollecitudine nei confronti del lavoro.
Una nota che ha sollecitato reazioni diverse è la critica al populismo: attraverso esso il leader strumentalizza la cultura e la sensibilità di un popolo. Partendo dalla destinazione universale dei beni voluta dal Creatore, ferma è la critica al capitalismo economico radicale che si dimostra incapace e fin antitetico a un’equilibrata giustizia sociale. Interessante, a questo proposito, è l’osservazione secondo la quale la politica non deve sottostare e sottomettersi totalmente all’economia, soprattutto quando essa si riduce al paradigma della tecnocrazia finanziaria.
Si passa, allora, senza soluzione di continuità, alla società che deve inalberare due vessilli: «Dialogo e amicizia». È, in pratica, quella cultura dell’incontro che si dovrebbe manifestare nelle varie tipologie popolari, accademiche, artistiche, tecnologiche, familiari, mediatiche, economiche, giovanili e così via. È la società pluralista, tesa alla ricerca della verità autentica, che papa Francesco raffigurava con una bella immagine a lui cara, il poliedro dalle molte facce che esclude quella del monolite esclusivista. O, se si vuole, è il riferimento alla costruzione di ponti ideali sui quali corrano il dialogo e l’incontro tra sponde diverse con prospettive differenti.
Il legame che tiene insieme i due quadri del dittico è nel dialogo interculturale e interreligioso ove tra i molti temi ne brilla uno che è stato incessante per papa Francesco ed è nell’anima autentica delle religioni e delle culture: la pace che sboccia dal superamento dell’«inequità» della distribuzione dei beni e dall’iniquità della guerra, negazione di tutti i diritti e aggressione allo stesso ambiente naturale. Forte è l’appello all’eliminazione totale delle armi nucleari e alla negazione della tesi della «guerra giusta» («Mai più la guerra!»).
Capitale è, perciò, il tema del perdono e della riconciliazione che non elidono la giustizia necessaria. Non si tratta di rinunciare ai giusti diritti davanti a un potente corrotto a un criminale o a chi degrada la dignità umana. Non è neppure l’induzione all’impunità: «La giustizia la si ricerca in modo adeguato solo per amore della giustizia stessa, per rispetto delle vittime, per prevenire nuovi crimini e in ordine a tutelare il bene comune, non come un presunto sfogo della propria ira. Il perdono è proprio quello che permette di cercare la giustizia senza cadere nel circolo vizioso della vendetta né nell’ingiustizia di dimenticare».
Il pontefice concludeva, allora, citando un bel passo del suo discorso nell’incontro ecumenico a Riga, in Lettonia, del settembre 2018. Sono parole che incarnano quel “sogno” cristiano per cui egli si è sempre battuto: «Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna».