Altri intelletuali all’attacco “Se il direttore vuol fare politica lasci l’incarico pubblico”
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«Settembre, andiamo. È tempo di migrare». Detto fatto: Maurizio Sguanci non ha nemmeno finito di leggere i versi dannunziani e, come i pastori del Vate, ha abbandonato gli stazzi estivi di Forza Italia e, alla guida del suo gregge, cioè di se stesso, si è diretto verso i pascoli autunnali di Matteo Renzi. Il nostro migrante suppone di trovare erba più tenera vicino ai campi renziani: quella di Tajani e compagnia non gli è bastata nemmeno un paio di mesi. Contento lui, contenti tutti, anzi no: scontenti tutti (a parte Renzi, ovviamente) per l’evidente stato febbricitante della politica toscana e fiorentina. Uno stato che può ridursi anche soltanto a una rincorsa scomposta per conquistare un quarto d’ora di celebrità. Nel caso dell’attuale Fregoli, Andy Warhol s’è dovuto allargare e concederne due di quarti d’ora: con un’altra giravolta ci può stare il record, perlomeno regionale. Prima ho scritto tutti scontenti, sbagliando, uno si è dichiarato più che soddisfatto e chi poteva essere se non Eugenio Giani, il re dell’ottimismo e della generale pacificazione per ora regionale, poi chissà… magari fiorentina. In vista delle amministrative e della scadenza europea, anche se a molta distanza, è la prima volta che a Firenze l’iniziativa non sembra più essere nelle mani di chi ha dominato la scena ormai da decenni, cioè la sinistra o quello che oggi si può intendere per tale. Tutto ruota intorno a una prima possibile candidatura a sindaco che la destra (a Firenze notoriamente incline a fare scena muta fino all’ultimo) ha proposto a Eike Schmidt.
A parte il nome di Schmidt e le di lui esternazioni, per niente «Arno d’argento», la destra allo stato dell’arte non sembra proporre altro di significativo, almeno fino a oggi. Sta di fatto però, che il Pd è entrato in confusione, passando da uno stato di apparente tranquillità, di definizione di perimetri per le alleanze (sic) e di attesa di un rosario di candidature soprattutto femminili, a una condizione di ansia poco controllata. Bisogna riconoscere che la cosa è comprensibile: basta tornare all’intervista di questo giornale al direttore degli Uffizi per capire lo spavento che un cavaliere teutonico può fare a un sistema politico che non si è mai sentito aggredito come nelle parole dette in quell’occasione.
Schmidt non sembra cercare vie diplomatiche o accattivanti in una realtà di cui conosce le tradizioni politiche, di fronte alla quale si è posto lancia in resta, per ora senza bisogno di un elmo, indispensabile se scegliesse davvero di entrare in campo. Certo, è talmente ingenua la reazione della classe politica democratica, in un affanno incomprensibile che la porta a negare il diritto di uno che ha un incarico statale a dare giudizi sulla situazione della città in cui vive!
Ma se li ricordano gli attuali amministratori i continui conflitti sulle condizioni di Firenze con i soprintendenti dei decenni scorsi e si ricordano che mai, anche nei momenti di più acuto contrasto fra amministrazioni, a qualcuno sia venuto in mente di dire che una personalità, siccome lavorava agli Uffizi o giù di lì, non aveva il diritto di dire quello che le pareva, anche se avesse voluto partecipare alla sfida per Palazzo Vecchio?
Il fatto semmai è che per ora di affascinante sul futuro di Firenze Schmidt non ha detto proprio niente: per ora ha imbracciato uno scudo, preso in mano una lancia e ha spaventato un po’ di notabili. Per andare alla Crociata il cammino è lungo, bisogna attraversare il deserto e mettersi un’armatura e un elmo che resistano agli attacchi dei pirati.
Uno di questi che dalla situazione attuale crede di trarre comunque vantaggi è certamente Matteo Renzi, non per merito dei suoi patetici Fregoli, ma perché il rebus avvolto nel mistero (fermiamoci qui per non offendere Winston Churchill) del Pd, locale e nazionale, gli consente di restare a galla e anzi di fare il gioco spregiudicato in cui è maestro, almeno finché non si aprono le urne.
Franco Camarlinghi
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