Berlusconi, Dell’Utri e le stragi, l’indagine è quasi finita
1 Giugno 2022Ari Marcopoulos: Upstream
1 Giugno 2022Il sindaco Marco Bucci, che sarà probabilmente rieletto nelle comunali del prossimo 12 giugno, ha messo in campo una politica della sicurezza prima di stampo “militar-medievale” e poi basata sulla tecnologia. Ma è ben altro ciò che occorrerebbe
Tra le molte meraviglie introdotte a Genova dal sindaco Marco Bucci, che pare si avvii a ottenere trionfalmente il suo secondo mandato nelle ormai prossime elezioni comunali del 12 giugno, ci sono le circa trecento telecamere installate in città negli ultimi mesi, grazie ai finanziamenti del progetto “Sicurezza Periferie”. Le telecamere rappresentano l’ultima chicca, in ordine di tempo, di una politica di “tolleranza zero” nei confronti della microcriminalità, avviata senza grande successo da anni, mirata in particolare al centro storico. Ricordiamo le sporadiche “ronde” cui il sindaco aveva partecipato con l’assessore alla sicurezza, Stefano Garassino, esponente della Lega: cupe e fugaci comparsate in cui i due – circondati da uno stuolo di poliziotti in borghese e da sparuti gruppi di simpatizzanti – si aggiravano con aria spaesata per il dedalo di vicoli della città vecchia, dando l’impressione di conoscerla molto poco.
Poi è venuta l’epoca dell’utilizzo massiccio dei pattuglioni, che hanno conseguito principalmente il risultato di spaventare i turisti e irritare i commercianti. La “giunta del fare” si è infine decisa a liberarsi di Garassino: la gestione della sicurezza, così com’era stata ideata e impostata dall’assessore, non convinceva nessuno, e non erano mancate pesanti critiche, venute perfino dai sindacati di polizia. Al suo posto, è stato quindi nominato Giorgio Viale. Con il nuovo assessore, alla linea “militar-medievale” di contrasto alla criminalità in precedenza praticata, se n’è progressivamente sostituita un’altra, che propugna la cybersecurity, e si affida alla tecnologia per risolvere i complessi problemi posti da una piccola delinquenza tenacemente radicata in alcuni settori del centro, presente in particolare negli immediati dintorni di via della Maddalena.
La zona della Maddalena, composta dalla via che le dà il nome e dalle sue adiacenze, fa parte del sestiere Pré-Molo-Maddalena, che costituisce una sorta di “periferia interna” della città. L’area, che è una delle più antiche di Genova, ed è immediatamente attigua alla turistica via Garibaldi, presenta una composizione sociale estremamente eterogenea: insistono sugli stessi spazi sia ceti sociali medio-alti – professionisti e studenti che hanno riscoperto la città vecchia dopo i parziali processi di gentrification intervenuti negli ultimi decenni –, sia una popolazione marginale piuttosto consistente, composta da disoccupati di lungo periodo, anziani, poveri, migranti, tossicodipendenti, prostitute, piccola criminalità. Quale effetto della pandemia, negli ultimi mesi, la componente marginale è significativamente cresciuta, come denunciano le diverse associazioni, che lavorano sul disagio sociale, presenti nella zona. Esiste, infatti, un complesso e variegato mondo dell’associazionismo, che gravita sull’area, e in parte ha in essa la sua base sociale e operativa; e non mancano, in questa realtà di quartiere, artisti, restauratori, antiquari.
Mauro, per esempio, che ha esposto alla Biennale di Venezia, tiene orgogliosamente aperto il suo studio di pittore proprio alla Maddalena. Esistono piccoli esercizi e laboratori artigiani che caratterizzano la via, e ora attraversano crescenti difficoltà. Il rischio di un tracollo completo delle attività commerciali è all’ordine del giorno, e crescono le saracinesche abbassate. Esistono anche numerosi locali di proprietà pubblica, in parte vuoti o sottoutilizzati, che potrebbero contribuire a un recupero ragionato della zona.
L’ottusa militarizzazione del quartiere, propugnata in prima battuta dalla “giunta del fare”, non solo non ha estirpato la microcriminalità, ma ha alimentato paure rendendone alcuni tratti più drammatici, come quando, a fine marzo scorso, alcuni militari che volevano identificare un sospetto sono stati circondati da un gruppo di persone con aria minacciosa. Una realtà composita e sfaccettata, come quella della Maddalena, non può essere affrontata unicamente manu militari o con strumenti tecnologici,che mostrano tutta la loro stupidità e impotenza di fronte a fenomeni di cui non possono comprendere l’origine. Lo indicano bene alcuni eventi degli ultimi mesi, che hanno visto sotto attacco alcuni piccoli negozi della zona, come l’aggressione subita da una delle realtà più vive dell’associazionismo locale, l’Atelier del limone lunare. Una piccola struttura basata sul volontariato e completamente autofinanziata, in cui operano principalmente donne, animata da Francesca e Federica, che si ispirano per la loro azione all’intervento sociale non violento di Danilo Dolci. La “sartoria sociale”, che è uno dei numerosi progetti attivati dall’associazione, stava preparando abiti per una sfilata da tenersi nella strada; ma ignoti rapinatori hanno forzato l’ingresso del locale, prelevando la collezione di abiti e rubando i computer e tutto quello che hanno potuto trovare. Non contenti, sono tornati qualche sera fa a imbrattare la saracinesca. Il tutto sotto l’impassibile occhio robotico delle telecamere, che qui sono state disseminate senza risparmio…
Se, nella “giunta del fare”, ci fosse qualcuno che ogni tanto leggesse dei libri, potrebbe scoprire che gli studi moderni sulla sicurezza urbana concordano nel giudicare modesta, se non pressoché inutile, la funzione di deterrenza svolta dalle telecamere, che possono servire solo in alcuni circoscritti casi, ma in genere vengono ignorate dal piccolo delinquente comune. In alcune città del Nord Europa, ormai vengono allestite telecamere finte, che funzionano più o meno come quelle vere e costano molto meno. È ormai un segreto di Pulcinella, ma si preferisce ignorarlo per inseguire soluzioni semplicistiche e un richiamo di maniera alle tecnologie avanzate, di sperato effetto mediatico. Così ecco impazzare, nelle interviste rilasciate dalle autorità, la cybersecurity, frequentemente accompagnata da una sloganistica, altrettanto vacua, sulle smart cities, che tutto sono meno che la banale sommatoria di telecamere, sistemi di tracciamento e “semafori intelligenti”.
Andrebbe forse ancora una volta ricordato che le politiche di sicurezza vanno intese come un insieme di azioni di prevenzione, se le si vogliono perseguire coerentemente; e che vanno pensate come continuative e coordinate, inserite in un progetto politico-istituzionale in grado di contribuire a ridurre la criminalità. E devono essere politiche integrate: non è sufficiente, per garantire risultati, il mero approccio law and order, ancorato a un vetusto concetto di sicurezza unicamente come ordine pubblico, conservato mediante le leggi e la presenza delle forze dell’ordine. Gli sforzi della politica andrebbero concentrati sulla prevenzione della criminalità in senso sociale, operando con una idea di centro storico, e mirando a ridurre le condizioni di svantaggio e deprivazione, disoccupazione ed esclusione. Pensando magari anche al modo in cui urbanisti e architetti possono rendere la città più vivibile e accogliente, contribuendo a creare quelle atmosfere di socialità e convivialità che sole possono rendere realmente le città più sicure.