Enzo Bianchi
Viene il momento in cui si deve guadare il fiume e lottare con la figura terribile ma paradossalmente amichevole dell’Avversario. Si è spontaneamente portati a pacificare i conflitti, riconciliare le lacerazioni, ricomporre le fratture, e l’idea dello scontro con la forza avversa, con la potenza del negativo viene allontanata come si allontana uno spettro. Ma la lotta con l’altro, l’avversario, il rivale che altro non è che affrontare l’ombra di sé è ciò che prima o poi tutti attende.
Vi è un episodio biblico narrato in una decina di versetti del libro della Genesi (32,23-33) che negli ultimi due secoli ha fortemente influenzato la cultura, la filosofia, la teologia e l’arte occidentale, ed è la lotta del patriarca Giacobbe con un essere non ben identificato e identificabile sulla sponda del fiume Iabbòq. Anche per Giacobbe viene l’ora della prova, un’ora terribile: egli combatte una lotta notturna davvero unica. Giacobbe vive una totale solitudine, condizione che è assenza di altri per essere pienamente se stessi, crogiolo che permette di assumere in pienezza la propria unicità, in modo da poter intessere relazioni veramente consapevoli.
È in questa situazione di paura, che «un uomo lottò con lui», rotolandosi con lui nella polvere: colui che fin dal ventre di sua madre si era reso protagonista di strenue lotte, si imbatte in un altro che lo assale. È un altro uomo, «un tale» non meglio definito, sconosciuto a Giacobbe; egli si attendeva l’indomani l’incontro-scontro con il fratello Esaù, e invece è nuovamente sorpreso, prevenuto da qualcuno che si lancia contro di lui e lo atterra. Siamo di fronte alla lotta delle lotte, all’intrecciarsi di due corpi che si abbracciano e si colpiscono.
Giacobbe si rivela un lottatore tenace, indomabile, a tal punto che il suo antagonista, «vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì alla giuntura della coscia, che si slogò»: siamo nel pieno di una lotta senza esclusione di colpi, nella quale non si esita a ricorrere ai colpi bassi!
Solo al termine della notte Giacobbe si sente dire dal suo rivale: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora», l’ora in cui le tenebre fuggono e Dio risplende come salvezza! Richiesta non immediatamente accolta, cui fa seguito un concitato dialogo tra i due contendenti. Giacobbe chiede all’altro la benedizione, ma si sente rispondere con un’altra domanda: «Qual è il tuo nome?». Ed è così che Giacobbe si arrende al suo avversario, perché dare il proprio nome significa fare esplicita consegna di se stessi: il nome è la persona, è la realtà più intima di ogni essere umano, e Giacobbe consegnandolo si affida a quel «qualcuno».
E mentre fa questo – nuova sorpresa – si vede cambiato il proprio nome: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ingannatore, ma Israele, perché hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto».
Chi può cambiare il nome se non Dio solo? Giacobbe, che non ha ancora compreso chi è il suo interlocutore, a sua volta gli chiede il nome, e si sente rispondere con la benedizione: ma non è la benedizione stessa un nome di Dio? Giacobbe è un vincitore che piange e chiede grazia, è un vincitore ferito, mostra cioè nel suo corpo che in verità Dio ha vinto contro di lui, in lui: Giacobbe è l’ingannatore ingannato, il vincitore vinto. Zoppo e piangente egli non è più l’uomo di prima, ma è ormai un lottatore che per grazia ha ottenuto la benedizione; è un uomo che porterà per sempre nel suo corpo e nel suo cuore i segni di questa lotta.
Alle innumerevoli opere letterarie e artistiche originate dalla lotta di Giacobbe, ora si aggiunge il sorprendente e incantevole saggio del filosofo Roberto Esposito, I volti dell’Avversario, L’enigma della lotta con l’Angelo, edito da Einaudi. Conosciamo l’importante contributo che gli studi e le opere di Roberto Esposito hanno dato alla ricerca filosofica, in particolare nei temi della comunità e della biopolitica: la sua trilogia Communitas, Immunitas, Bìos è ormai un punto di riferimento. Per questa ragione I volti dell’Avversario è un’opera sorprendente, perché sorprende la discontinuità, anzi la rottura rispetto ai suoi precedenti libri, cosa che del resto lui stesso non esita a riconoscere. Ma è esattamente questa deviazione che consente a Esposito di consegnarci un’interpretazione altra dell’episodio biblico in questione. L’autore ha messo il suo lavoro alla prova dell’alterazione, più esattamente della prova dell’Altro, fino a giungere a collocare l’Avversario come cardine da cui muovere l’analisi della lotta di Giacobbe. L’enigma dell’Avversario come cifra interpretativa, nella misura in cui l’avversario con il quale Giacobbe lotta per una notte intera, dall’imbrunire fino allo spuntare dell’alba, ha ricevuto infinite interpretazioni, mutando continuamente i connotati, assumendo ora i tratti dell’uomo e la sua ombra, di Dio e di Satana, del nemico e dell’amante.
Una Lotta che va oltre sé stessa e che assume e riassume ogni possibile forma che la relazione possiede, essa è incontro, scontro, confronto, abbraccio, «nel punto incandescente in cui polemos ed eros appaiono misteriosamente incrociare i loro contorni».
Emblematica la scultura Giacobbe e l’angelo di Jacob Epstein dove Giacobbe si abbandona all’abbraccio con colui che ha combattuto all’estremo, a dire che l’enigma ha un rapporto con la verità senza pretendere di sciogliere l’enigma. Osserva Esposito: «Non si lotta – da parte di Giacobbe come di ciascuno di noi – per impadronirsi di una verità inafferrabile, ma per accettarne l’inafferrabilità, col tormento o il momentaneo sollievo che ciò comporta. Quale ne sia la motivazione contingente, in ultima analisi lottiamo sempre per la nostra verità, per cercare, almeno per un attimo, di vederla faccia a faccia, come Giacobbe fa con l’avversario, prima che si dilegui di nuovo».
La grande capacità di Roberto Esposito è di affidarsi non solo alle parole ma anche alle raffigurazioni artistiche che nel corso dei secoli hanno interpretato nei modi più diversi questo episodio: lotta ieratica nell’iconografia bizantina; abbraccio resistente in Rembrandt; scontro di due corpi possenti in Eugène Delacroix; scontro tra un imponente angelo e un minuscolo Giacobbe in Marc Chagall; l’erculea prova di forza in Léon-Joseph-Florentin Bonnat; scena vista in lontananza da curiose spettatrici in Paul Gauguin. Giacobbe lotta con un uomo innominato; lotta con la sua stessa ombra, con un angelo che rappresenta il proprio «io sdoppiato»; lotta con l’angelo custode di Esaù; oppure lotta con Dio. Lottando con l’Altro, ciascuno lotta contro sé stesso, per accostarsi a una verità che continua a sfuggirgli. «Lotta con se stesso per creare se stesso» come sentenziato da Jung per Song of Hiawatha.
La collocazione dell’Avversario al centro dell’analisi costituisce la cifra personale dell’interpretazione offerta da Esposito. La lotta di Giacobbe dimostra come l’identità sia inseparabile dall’alterità, o dal conflitto, come del resto il conflitto dall’identità. «L’Avversario – annota con acutezza Roberto Esposito – è colui che allo stesso tempo crea e mina la nostra identità. Minacciandola la istituisce, perché la strappa alla sua unità, come non potrebbe fare alcun amico, spingendola a un più maturo senso si sé».