I nodi del Pd
Carlo Bertini
«Penso che chi dirige abbia il diritto di scegliere le persone da impegnare in ruoli e funzioni diverse», risponde Gianni Cuperlo, uno dei leader della sinistra dem, quando gli si chiede come abbia reagito alla decisione di Elly Schlein di sostituirlo alla presidenza della Fondazione del Pd con Nicola Zingaretti. Una scelta che ha fatto rumore nel partito, interpretata anche come un tentativo della segretaria di ricucire un rapporto con i maggiorenti del partito, attraverso i buoni uffici dell’ex segretario del Pd. Pur condividendo le battaglie sul salario e sulla sanità, Cuperlo sprona poi Schlein a produrre «un progetto coinvolgente per la riscossa del paese, come fu per l’Ulivo».
Ma rispetto alla sua impostazione, condivide l’obiettivo che si è dato Zingaretti di coinvolgere i big del partito nella fondazione? Non si rischia di essere un secondo organismo con ambizioni dirigenti per commissariare la segretaria?
«Non mi sembrerebbe una scelta sensata. I nostri limiti sono nell’incapacità di aprirsi al buono che sta fuori da noi e dunque meglio non riprodurre vecchi caminetti».
Schlein ha un problema di scarso dialogo con i dirigenti delle varie correnti?
«Non penso, anzi credo conosca bene il valore del dialogo e dell’apertura. Casomai è il Pd prima di lei a non averli coltivati abbastanza. Ricordo che la prima iniziativa della Fondazione sono state tre giornate bolognesi dedicate al mondo per come cambiava. Era novembre del 2019, attendevamo cinquecento persone, ne arrivarono quattromila e il motivo era che a ragionare in quella sede avevamo chiamato la parte di società che da anni il Pd non ascoltava più. Economisti, storici, politologi, giuristi, scienziati, teologi, i vertici dei sindacati e dell’impresa, scrittori, rappresentanti del civismo e della cittadinanza attiva. Il punto è che il successo di quell’evento ha segnato anche la sua rimozione, nel senso che percorrere quel sentiero pareva insidiare ruoli e rendite di posizione».
Per questo formalmente la Fondazione non è mai nata?
«A conferma che tagliare il finanziamento pubblico ha immiserito la ricerca e la formazione, abbiamo lavorato senza mezzi e risorse. Se il progetto è proseguito con seminari e una scuola di politica che in tre anni ha coinvolto decine di personalità, è stato anche per la volontà di Enrico Letta e lo ringrazio».
Visto che si riparla di correnti, la nuova “Energia Popolare” di Bonaccini può essere un buon viatico per l’unità invocata da Prodi?
«Prodi ha tenuto una lectio illuminante per tutti. Detto ciò, penso che negli anni abbiamo scambiato l’unità formale per una sintesi vera. Sento ripetere “non siamo una corrente” ma poi quelle “non correnti” decidono ruoli, posti, candidature. A Stefano ho detto che le correnti ci sono e vanno pesate nel consenso che hanno, soprattutto servono se partoriscono idee, eresie, provocazioni. L’unità è sempre un valore in un partito dove la libertà del pensiero deve trovare uno slancio e una solidarietà comuni. L’alternativa sono i partiti personali che nascono e muoiono col loro leader».
Schlein sta gestendo bene questa fase del partito?
«Senza dubbio ha portato una ventata di speranza e lo si vede da una generazione più giovane nelle piazze e nelle nostre feste. Ha ricucito con alcuni ambienti e ha curiosità e ambizione per governare il pluralismo del Pd col massimo dell’ascolto e naturalmente col diritto a compiere scelte che da quell’ascolto derivano».
Voi la state aiutando in questo compito?
«Sono sincero, nella formula “aiutare la segretaria” trovo qualcosa di paternalistico. Se oggi quel compito tocca a lei, è perché in passato non siamo stati abbastanza capaci di aiutare noi stessi. Quindi continueremo a dare una mano: certo, con la nostra autonomia».
Sul salario minimo meglio accettare il rinvio a settembre o farsi bocciare la legge subito?
«L’ipocrisia del governo è scandalosa. Sotterrano la sofferenza, la cancellano alla vista, ma tre milioni e mezzo di donne e uomini lavorano per salari sotto la soglia della dignità. Una larga maggioranza del paese questa legge la vuole. Loro temono di perdere qualche consenso. Il risultato è che stanno perdendo la faccia. Nessun rinvio, per noi il parlamento può restare aperto tutto agosto e votare una legge di civiltà».
Cosa manca a Schlein per avere un’impronta più di governo e meno elitaria, una delle critiche più frequenti?
«Per la verità stando al governo abbiamo perso qualche milione di voti perché non è semplice unire la responsabilità nelle scelte coi bisogni delle persone. Oggi non vedo nulla di elitario nel battersi perché da Ragusa a Trento si possa godere della stessa qualità nel curarsi, studiare, ricevere un reddito dignitoso. Il punto è che nel bagaglio di questa destra non c’è nulla di originale, l’odio per il diverso, il fastidio per le procedure istituzionali, il maschilismo. Per questo serve che le forze del lavoro, della cultura, gli intellettuali, si facciano parte di uno scontro tra visioni alternative del futuro. Eugenio Garin diceva che la persona di cultura per assolvere la propria funzione non può non prendere parte alla vita civile del suo tempo».
La maggioranza, malgrado tutto, è solida nei sondaggi…
«C’è un vento di destra come ha scritto il direttore del vostro giornale. Quei casi sono segno della loro arroganza e inadeguatezza. Per altro, su questa destra è tempo che la riflessione scavi in profondità. Loro sommano filoni distinti, dal conservatorismo tradizionale al populismo reazionario, dal nazionalismo al corporativismo, fino a una irrazionalità anti-scientifica e all’esercizio del controllo più rigido sui mezzi d’informazione. Sta a noi contrapporre un’idea forte del futuro per un’Europa ancora troppo afona sulla guerra e che deve ritrovare la sua funzione storica in un tempo dove l’Occidente non è più il centro del mondo».
Dovreste subito lavorare per stringere alleanze o ci si pensa dopo le Europee?
«Se guardo alla battaglia sul salario minimo o alla difesa della sanità pubblica, rispondo che siamo sul sentiero giusto. Poi so che non basta, perché un’alternativa è vincente se ritenuta credibile e per esserlo deve accompagnare a forti battaglie sociali una riscossa etica, un’immagine coinvolgente del paese che si ha in mente. Al fondo l’Ulivo fu questo e non è un caso che vinse».