di vladimiro zagrebelsky
Mentre in Italia il governo si appresta ad adottare un’iniziativa legislativa in materia di giustizia penale, su un terreno simile, anche se con contenuto diverso, proprio in questi giorni si muove il legislatore francese. In Italia, dopo le recenti limitazioni poste alle dichiarazioni dei magistrati sui casi di cui si occupano, si vuole ora intervenire vietando ulteriormente la pubblicazione del contenuto di atti processuali (come le intercettazioni). Il tema è quello della presunzione di innocenza e della tutela delle persone non coinvolte nell’indagine penale. In proposito va ricordato che connesso e non residuale è il diritto alla conoscenza dei fatti di rilievo sociale o politico. È un aspetto della costituzionale libertà di espressione e spetta a tutti e all’opinione pubblica in generale. La vicenda legislativa francese, che anch’essa vuole affrontare questioni varie di disfunzione della giustizia penale, accanto ad un forte aumento del budget della giustizia, al reclutamento di 1.500 magistrati in più e ad alcune modifiche procedurali, ha riguardato nel corso della discussione in Senato anche un aspetto della comunicazione pubblica dei magistrati e dei loro gruppi associativi. Si è proposto di inserire una limitazione al diritto dei magistrati di creare sindacati, aggiungendo alla legge che lo prevede una semplice riga, carica di problemi nella sua apparente ovvietà. Si tratta di aggiungere “nel rispetto del principio di imparzialità che s’impone ai membri del corpo giudiziario”.
A fondamento di questa proposta i proponenti scrivono che troppo spesso i sindacati dei magistrati intervengono con dichiarazioni su temi politici non direttamente collegati con lo statuto dei magistrati e il funzionamento della giustizia. Soltanto su tali materie le organizzazioni dei magistrati (in Italia le “correnti” della Associazione nazionale magistrati, altrove le varie associazioni) dovrebbero esprimere le loro opinioni. I problemi non sono pochi, a partire proprio dalla portata che si vuole assegnare al naturale e fondamentale dovere di imparzialità dei magistrati, richiamato dalla Costituzione, dalla Convenzione europea dei diritti umani, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Chiara può essere l’esigenza d’imparzialità del giudice rispetto a ciascuna delle parti in giudizio. Vi sono nella legge disposizioni analitiche in proposito e mezzi per assicurarla, eliminando ogni elemento di vera o sospetta parzialità. Una serie di incompatibilità impedisce ai giudici, che si sono già pronunciati in una fase del procedimento, di partecipare poi alle fasi successive. Il motivo di tali incompatibilità (molto onerose sul piano dell’organizzazione dei piccoli tribunali) è legato al fatto che una volta maturata una opinione -tanto più se formalizzata ed espressa- vi è come una resistenza psicologica a modificarla, quando nuovi motivi o nuovi argomenti svolti dalle parti nel processo vi si contrappongano. Ma un problema può porsi anche quando il giudice si sia espresso fuori del procedimento, donde l’obbligo di prudenza. I casi sono infiniti e quelli che provocano polemiche anche politiche sono solo una parte di essi. Vi sono le questioni generali di diritto e quelle di principio o anche specifiche di carattere sociale e politico. Il problema può nascere quando il giudice si debba occupare di un caso che ricade nel quadro entro il quale egli si è già espresso. Il legame con il caso concreto da giudicare è tanto più tenue quanto più generale è la questione su cui il magistrato si è espresso. Il codice etico della magistratura italiana, che proclama la “piena di libertà di manifestazione del pensiero” dei magistrati, richiede loro di ispirarsi a criteri di equilibrio, dignità e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste anche quando intervengano senza riferimento a casi di cui si devono occupare professionalmente. Non è menzionata la imparzialità, anche di immagine, ed è un peccato; ma l’esigenza di tenerne conto può essere implicita. La imparzialità, accanto alla indipendenza, rappresenta un dovere per il magistrato, ma è anche un diritto che spetta ad ogni cittadino, anche se non coinvolto in un processo.
Ed allora si vede che accanto a quello dell’atteggiamento del singolo magistrato e della fiducia che deve ispirare, vi è un profilo più ampio, che riguarda il corpo giudiziario nel suo complesso o in parti di esso. Viene così in rilievo il tema cui si riferisce l’intervento legislativo in discussione in Francia e che è spesso oggetto di polemica anche in Italia. Esso ha subito cagionato reazioni allarmate da parte dei magistrati e non è detto che nel seguito della discussione parlamentare trovi approvazione definitiva. Si tratta di questione estremamente delicata, come tutte quelle che riguardano i limiti alle libertà. In più è difficile il giudizio su quali dichiarazioni, di singoli o di gruppi, mettano in pericolo la imparzialità che deve garantire la magistratura. Mentre i limiti dovrebbero essere definiti quanto più possibile. È chiaro che non si tratta soltanto di evitare espressioni settarie, incompatibili con i principi costituzionali o impropri esibizionismi. Ed è difficile applicare criteri generali, per materia, per definire e delimitare i temi su cui il magistrato ed i gruppi di magistrati possono esprimersi. È diffusa in Europa la tendenza di governi e partiti politici a tentare di zittire la magistratura, anche con sanzioni disciplinari, contro singoli e contro dirigenti delle associazioni. Ma è anche vero che occorre tener conto della speciale natura delle funzioni di cui il magistrato è incaricato, con i doveri che ne discendono per i singoli e per i gruppi. La fiducia pubblica nell’imparzialità dei singoli e della magistratura nel suo insieme può esser messa in crisi dall’entrata dei magistrati nel contrasto politico. È esperienza conosciuta quella che ha visto in difficoltà la credibilità della magistratura come conseguenza della sua contrapposizione con altre articolazioni istituzionali o sociali. Da parte della magistratura è opportuno il distacco -invece del coinvolgimento- nel conflitto politico. Poiché la magistratura non è un attore qualunque della vita della società e dello Stato.
È questa un’esigenza diffusa in Europa, di cui le sentenze della Corte europea dei diritti umani sono un aspetto rilevante. Ferma la titolarità anche per i magistrati della libertà di associazione e di espressione, la Corte ha più volte affermato la violazione della Convenzione europea per sanzioni inflitte a magistrati e, in particolare, a dirigenti di associazioni di magistrati. Anche recentemente nei confronti di Ungheria, Polonia, Turchia, Svizzera, ha affermato che non si tratta solo di un diritto, ma è anche un dovere quello dei magistrati e dei loro sindacati di contribuire con le loro valutazioni al dibattito relativo a temi e riforme legislative attinenti alla magistratura e alla sua indipendenza. Anche quando vi siano implicazioni politiche. Ma, fuori di tali tematiche, la Corte ha riconosciuto che la missione particolare del potere giudiziario nella società impone ai magistrati un dovere di riserbo, poiché “la parola del magistrato … è ricevuta come l’espressione di una valutazione oggettiva che impegna non soltanto chi la esprime, ma anche, per suo mezzo, tutta l’istituzione giudiziaria”. E la Corte ha aggiunto che si ha il diritto di attendersi da parte dei magistrati ch’essi facciano uso della loro libertà di espressione con prudenza ogni volta che l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario rischino di esser messi in discussione. I magistrati e i loro gruppi dovrebbero dunque aver sempre presenti le esigenze di protezione della magistratura e del suo ruolo, di cui ciascuno è in qualche modo portavoce. Specialmente quando il contesto sociale e politico vede frequenti attacchi alla magistratura, la difesa della sua indipendenza più che l’ingresso nel conflitto può richiedere riserbo e responsabilità.